CELEBRAZIONE EUCARISTICA 28.11.04

 

Nel riflettere sull’identità abbiamo cominciato da noi stessi: chi siamo oggi,

a  trent’anni dalla nostra nascita come cristiani critici.

La parabola del pubblicano ci insegna che non dobbiamo guardare gli altri, ma dentro di noi.

In questa nostra realtà in cui gli integralismi, i neoconservatorismi sono sempre più visibili, più arroganti, più determinati a gestire il potere in senso autoritario, come possiamo trovare una nostra collocazione? Il senso del nostro stare insieme? Come possiamo realizzare una nostra testimonianza?

.

Quando diciamo integralismi non dobbiamo pensare soltanto a quelli di origine islamica e così salvarci la coscienza con poca fatica.

Qui e altrove, in Occidente, gli integralismi o fondamentalismi di origine cristiana sono sempre più agguerriti, prendono sempre maggiore spazio politico. Si vanno proponendo e imponendo identità cristiane di stampo reazionario, identità chiuse e perciò pericolose per la convivenza civile, capaci di determinare consistenti spostamenti di consenso. Abbiamo già citato nella introduzione il caso USA.

Vogliamo partire da qui, per capire insieme come delineare una identità aperta, fondata su valori “altri” che siano comunicabili e condivisibili, senza porre marchi di proprietà.

Non possiamo lasciare che solo i fondamentalisti parlino di vita, valore della vita ecc. in modo parziale e ideologico, Parole finalizzate, al limite, a giustificare interventi armati cosiddetti “difensivi”.

Dobbiamo parlare a voce alta per controbattere chi si vuole appropriare della croce, del nome di Dio, per giustificare la violenza, il potere, la discriminazione, o per definire il bene e il male.

D’altra parte – e questo è un fatto positivo -  l’identità cattolica, a partire dal concilio Vaticano II si è frantumata. In questo mosaico ci siamo anche noi, cristiani critici, sia pure con una collocazione marginale.

Da questa collocazione vogliamo però parlare a voce alta; per farlo, dobbiamo prima di tutto mettere in atto una capacità di confronto e dialogo che non sia solo una superficiale dichiarazione di intenti: dobbiamo andare a fondo e verificare con altri nostri fratelli, tra noi stessi, cosa ci unisce e cosa ci separa.

Andare a fondo per analizzare i punti di divergenza per poi ricostruire insieme una strategia di avvicinamento ad una nostra ipotesi di essere comunità e chiesa ci permetterà prima di tutto di smettere di ritenerci noi i veri, i puri cristiani.

La storia di Gesù ci insegna che Lui ha chiesto cosa gli altri pensassero di Lui. Non è stato Lui a definirsi.

Dobbiamo imparare ad ascoltare prima di proclamare sicurezze.

Quello che ci aspetta è camminare sul sentiero incerto della condivisione e della pace ma senza tante parole e con più fatti.

Noi, donne e uomini con un’identità “critica” possiamo, e sappiamo, essere portatori della buona novella?

 

ESSERE CRISTIANI OGGI

 

Il risultato della elezione americana e in particolare il ruolo che hanno avuto 

nella vittoria di Bush i cosiddetti cristiani rinati e i valori da essi sostenuti ci invitano ad alcune riflessioni,

Si è molto parlato in queste elezioni di questioni morali; politologi e opinionisti hanno sostenuto che, a segnare la differenza  tra i due contendenti, è stato determinante il richiamo ai valori etici, a una morale che poi di fatto è stata identificata con quella cristiana. Bush e i neoconservatori che lo sostengono hanno proclamato a gran voce la loro forte identità cristiana.

Mai come oggi ci siamo resi conto come il contenuto del termine cristiano oltre ad essere strumentalizzato, può indicare realtà molto diverse. Noi che ci diciamo cristiani non possiamo certo identificarci con i valori arcaici, rigidi e assoluti, via maestra al fondamentalismo, in difesa dei quali dicono di agire Bush e le chiese rinate,

 Ci chiediamo sgomenti quanto ci sia dell’insegnamento di Cristo nell’approvazione delle guerre, preventive e non, come metodo storico di risoluzione dei conflitti, nell’uccisione di inermi civili, nella pena di morte, nell’odio religioso e razziale, nel nazionalismo escludente. Questo cristianesimo ci appare ancora una volta guerriero e a servizio dei potenti, arrogante e superbo perché si sente depositario del Bene e della verità assoluta. Il Male sta altrove  “dio è con noi ed è un Dio vendicativo e arcigno. Sono vecchi peccati che la storia ci aveva insegnato a conoscere e che sembravano in via di estinzione.

E invece bisogna vigilare e far sentire più forte  la voce di un cristianesimo differente, non per creare sterili contrapposizioni, ma per sostenere con vigore che il cristianesimo può e deve essere altro e affermare con semplicità che essere cristiani significa prima di tutto essere discepoli di Cristo, con tutto quello che sappiamo vuol dire essere discepoli.

Forse i segni dei tempi chiedono  proprio a noi cristiani che abbiamo fatto della critica e del dubbio la nostra prassi, di riflettere su che cosa significa oggi, nella realtà contemporanea, essere cristiani?

Significa identificare altri valori forti a cui riferirsi? Non corriamo il rischio di creare a nostra volta degli assoluti, di costruire un’identità molto definita e per questo motivo poco permeabile, di avere un’appartenenza rigida lontana da quell’appartenenza di confine di cui ci ha parlato Alexander Langer?

Una appartenenza in cui è fondamentale lo scambio con l’altro e la ricerca continua volta al cambiamento, in cui non ha paura della contaminazione,  in cui è importante il metodo perché non ci sono certezze, la capacità di dire ‘ non ci sto’ per tentare i attuare il progetto di vita in cui si crede e che solo ci può dire chi siamo e verso dove vogliamo andare nel tempo storico e relativo in cui ci è toccato vivere.