Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma, Eucarestia del 25 aprile 2010
BENI COMUNI
Introduzione
Siamo contenti che oggi sono con noi: • Gerardo Lutte…… • alcuni membri della comunità valdese di piazza Cavour invitati dal nostro gruppo a condividere non solo l’assemblea eucaristica ma anche la sua preparazione. L’invito è nato dall’esigenza di rinnovare una pratica ecumenica e dalla partecipazione comune alla manifestazione per l’acqua del 20 marzo scorso. Ci siamo quindi incontrati due volte per riflettere insieme sul tema dei beni comuni, che oggi vi proponiamo. Ci siamo confrontati su quali siano per noi i beni comuni: • materiali (tipo terra, acqua, aria, …) • immateriali (tipo, conoscenza, informazione, …) e su come • preservarli • renderli accessibili in modo equo a tutti gli esseri viventi e anche alle generazioni future Non potendo analizzare gli innumerevoli beni comuni e le altrettanto innumerevoli situazioni di appropriazione e di distruzione degli stessi, ci limitiamo a riportare alcuni esempi positivi di reazione a questa realtà di sopraffazione, centrati sull’acqua. Una prassi esemplare di assunzione collettiva di responsabilità ci viene dai comitati di cit-tadini per l’”acqua pubblica” di Aprilia, che, dopo cinque anni di lotte, hanno vinto la nota vertenza contro la società privata “Acqua Latina”. Proprio ieri è iniziata la raccolta di firme per i tre referendum, promossi dal forum italiano dei movimenti per l’acqua. La speranza è che, al di là dei risultati, possa essere un’occasione di costruzione di spazi comuni di democrazia partecipata. Inoltre in questi giorni si è tenuta in Bolivia la conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della madre terra. La località scelta è stata Cochabamba perché una decina di anni fa gli indigeni locali hanno vinto la battaglia per l’accesso all’acqua e per la gestione pubblica – comunitaria delle reti idriche, contro un colosso multinazionale. In seguito le costituzioni di Bolivia ed Ecuador hanno proibito qualsiasi forma di privatizzazione dell’acqua.
Sono notizie conosciute, ma ci sembra importante sottolinearle, come testimonianze incoraggianti della possibilità di realizzare una maggiore giustizia ambientale e sociale.
Durante la nostra discussione sono stati fatti riferimenti a: • “la terra è di Dio” di Giovanni Franzoni • al Vecchio Testamento soprattutto circa il significato di proprietà – eredità, che ci hanno indotto a scegliere i brani di Deuteronomio, Levitico, Geremia.
Per quanto riguarda il rapporto esseri umani – natura - cosmo, che per alcuni di noi è stato vissuto in modo antropocentrico e gerarchico, ci è sembrato utile approfondire la conoscenza della cosmo-visione indigena, illustrata nel testo sul “buen vivir”.
Nella consapevolezza della finitezza delle risorse abbiamo colto dal vangelo di Matteo il comandamento dell’essenzialità e sobrietà, contro ogni accumulazione e spreco. Essenzialità che ci è testimoniata soprattutto: • dai migranti • dai senza casa • dai ragazzi che vivono in strada
Letture
Dal vecchio testamento Al Signore, vostro Dio, appartengono il cielo sconfinato, la terra e tutto quello che contiene. (Deuteronomio 10, 14)
Un terreno non potrà essere venduto in modo definitivo, perché la terra appartiene a me, il Signore, e voi sarete come stranieri o emigrati che abitano nel mio paese. (Levitico 25, 23)
Io vi ho condotto in una terra da giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la terra e avete reso un abominio la mia eredità. (Geremia 2, 7)
Dal “Buen vivir” di Giuseppe de Marzo (proposta di un nuovo paradigma di civiltà) Per le comunità native (delle Ande) il “sumak kawsay” o “suma qamaña” a seconda della lingua dei diversi popoli, suppone un’idea della vita e dello sviluppo basata sulla consapevolezza di utilizzare della natura solo quanto necessario, per evitare di danneggiarne e pregiudicarne la riproduzione, compromettendo così anche i di-ritti delle future generazioni. Un’impostazione che proviene dalla cosmo-visione indigena che consente di svi-luppare relazioni sociali sostenibili e allo stesso tempo conservare una spiritualità in grado di mantenere vivo il rapporto tra esseri umani, natura e cosmo. Questo è ciò che sostenta il concetto di “madre Terra” o di “Pachamama” utilizzato dalle comuni-tà indigene per descrivere la loro relazione con la natura, intesa in senso ampio ed integrale. Una relazione che vede la Terra come “colei” – il femminile – che dà la vi-ta e la garantisce, per questo considerata “madre” di tutti i viventi, esseri umani in-clusi. Un pensiero che avvicina uomini e donne a tutti gli altri viventi, ne individua i nessi biologici e spirituali, attribuisce responsabilità collettive ampie e destituisce l’uomo aeconomicus dal ruolo di utilizzatore e dominatore unico dei cicli della vita sul pia-neta, restituendogli il prestigioso incarico di “amministratore” della casa comune.
Marco 6, 8-9 E comandò loro di non prendere nulla per il viaggio, se non un bastone soltanto: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzarsi di sandali e di non portare tunica di ricambio.
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