Comunità Cristiana di Base di san Paolo "COLPA E RESPONSABILITÀ" Roma, Eucarestia del 21 marzo 2010
Letture
Genesi 4, 8-9 Un giorno mentre Caino e Abele stavano parlando insieme nei campi, Caino si scagliò contro Abele suo fratello e lo uccise. Il Signore chiese a Caino: - Dov'è tuo fratello? - Non so, - rispose Caino. - Sono forse io il custode di mio fratello?
Matteo 21, 28 – 31 Poi Gesù disse loro: “Vorrei conoscere il vostro parere. C’era un uomo che aveva due figli. Chiamò il primo e gli disse: Figlio mio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ma quello rispose: "No, non ne ho voglia”; ma poi cambiò idea e ci andò. Chiamò anche il secondo figlio e gli disse la stessa cosa. Quello rispose: "Sì padre”, ma poi non ci andò. Ora, ditemi il vostro parere: chi dei due ha fatto la volontà del padre?”. Risposero: “il primo”.
Giovanni 8, 3-11 I maestri della legge e i farisei portarono davanti a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli dissero: - Maestro, questa donna è stata sorpresa mentre tradiva suo marito. Nella sua legge Mosè ci ha ordinato di uccidere queste donne infedeli a colpi di pietra. Tu, che cosa ne dici? Parlavano così per metterlo alla prova: volevano avere pretesti per accusarlo. Ma Gesù guardava in terra, e scriveva col dito nella polvere. Quelli però insistevano con le doman-de. Allora Gesù alzò la testa e disse: - Chi tra voi è senza peccati, scagli per primo una pietra contro di lei. Poi si curvò di nuovo a scrivere in terra. Udite queste parole, quelli se ne andarono uno dopo l’altro, cominciando dai più anziani. Rimase soltanto Gesù, e la donna che era là in mezzo. Gesù si alzò e le disse: - Dove sono andati? Nessuno ti ha condannata? La donna rispose: - Nessuno, Signore. Gesù disse: - Neppure io ti condanno. Va’, ma d’ora in poi non peccare più!
Riflessione introduttiva Nel corso del secondo incontro di preparazione dell’Eucarestia ci siamo posti il problema se andare avanti sul binomio colpa/responsabilità o se incentrare la nostra riflessione su uno dei due termini, la responsabilità, come se questo fosse l’elemento più costruttivo del binomio in questione. Andando avanti nella dibattito ci siamo resi conto però che non riuscivamo a scindere i due aspetti del problema perché nella nostra discussione come nella nostra vita quotidiana queste due componenti si intrecciano. Senso di responsabilità e senso di colpa infatti si legano dialetticamente. Ogniqualvolta sperimentiamo sulla nostra pelle una mancata as-sunzione di responsabilità, una mancata risposta ad una chiamata è inevitabile sentire se non un vero e proprio senso di colpa, quel disagio, quell’inquietudine a cui non sempre riusciamo a dare parola. Nell’episodio di Caino la domanda che ci ha colpito particolarmente è stata: ”Sono forse io il custode di mio fratello?” Al di là del significato immediato delle parole, che rimanda quasi ad una sorta di scusa che Caino sta accampando, per giustificarsi agli occhi del Signore usa un argomento apparen-temente inattaccabile. Viene da pensare a coloro che identificano nel farsi i fatti propri un comportamento sano e corretto. Quante volte abbiamo sentito dire da genitori ai propri fi-gli, a mo’ di principio educativo corretto: “Fatti i fatti tuoi.” In realtà questa indicazione, questo comportamento sembra l’esatto contrario del “I care”, che Don Milani insegnava ai suoi ragazzi . Bisogna farsi anche i fatti di coloro che i fatti propri non riescono a curare, in questo senso dobbiamo sentirci i custodi del nostro fratello. Pensiamo ad una modalità di intervento in punta di piedi, che non s’impone e non invade il mondo interiore e gli spazi dell’altro. Mettersi in un atteggiamento del genere è possibile solo a partire da una posizione di ascolto; è l’ascolto autentico che ci salvaguarda dal ri-schio di non rispondere alla chiamata che viene dall’altro o di travisarne la domanda so-vrapponendo esigenze o inquietudini nostre. Ma cosa vuol dire prendersi cura degli altri, assumersi la responsabilità? La seconda lettura ci indica che il modo di rispondere è con i fatti e non con le parole. Fa la volontà del Padre il figlio che all’inizio esita e dice no, ma poi cambia idea e va a la-vorare la vigna, non l’altro figlio che a parole dice sì ma poi fa tutt’altro. Gesù ci insegna che c’è un solo modo per amare Dio, amare e fare del bene al nostro prossimo, l’amore di cui parla non ha niente a che fare con parole retoriche e astratte, o sentimenti sdolcinati, non si tratta di dire o sentire qualcosa per il prossimo, si tratta invece di agire, di fare il be-ne, quindi agire e fare, contrapposti a parlare e sentire soltanto, come fa Dio che dona il sole e la pioggia a tutti senza discriminazioni tra buoni e cattivi, giusti ed ingiusti. Quello che colpisce nella terza lettura è la modalità con cui Gesù gestisce la situazione e si tira fuori dal tranello che gli tendono i farisei, richiamandolo alla legge di Mosè che vole-va la donna adultera lapidata. Gesù parte con l’assumere il punto di vista dei giudici, non contesta la legge di Mosè né giustifica l’adultera. Rimane sullo stesso loro terreno e sposta i riflettori dall’adultera ai giu-dici: ”Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Così salva l’adultera ma anche gli stessi giudici, aprendo la possibilità che si mettano in discussione. Con questa strategia fa cadere il muro tra adultera e i suoi giudici, ponendo le premesse per un mescolamento delle parti, condizione indispensabile per uscire tutti in-sieme dalla situazione di peccato in cui Gesù vedeva immerso il suo popolo. Certo, la leg-ge di Mosè è importante ma quella donna con la sua sofferenza, con i suoi peccati, con il suo amore, con la sua vita sconosciuta a tutti coloro che volevano giudicarla, lo è molto di più. Gesù non le indica cosa deve fare, le dice, però: ”Non peccare più”. La lascia da sola, giudice di se stessa, a guardare la sua vita, a giudicare il peccato che deve sconfiggere dentro di lei, a decidere quale strada è per lei quella della conversione. Sarà il faticoso rapporto con se stessa e con Dio ad aiutarla a capire ed a cominciare un cammino nuovo, non certo un tribunale pronto ad applicare una legge e a scagliare pietre. Pensando anche all’esperienza della nostra comunità, ci siamo chiesti come affrontare le difficoltà di prenderci cura degli altri, di assumerci le responsabilità che la vita quotidiana-mente ci mette davanti, senza rimanerne schiacciati. Come riuscire a dire e a mettere in pratica il nostro “I care”? Come liberarci da quei sensi di colpa che possono travolgerci e paralizzarci nell’impotenza? Ci è sembrato di individuare una via d’uscita nella condivisione delle responsabilità, nel mettere in comune oltre alle responsabilità anche i dubbi e le incertezze, facendoci solleci-tare dagli altri ad ascoltare e rispondere, sentendoci perdonati per gli errori commessi e pronti a ricominciare e a rialzarci di fronte alle inevitabili cadute.
Preghiera del gruppo Il cristiano deve mettersi bene in testa che è un cittadino della terra e che, se vuole imitare pienamente il Cristo, deve pienamente come lui assumersi i pesi e gli impegni di questa cittadinanza.. Non basta riconoscere, per vivere una vita organicamente cristiana, che il soprannaturale ha il suo posto nella nostra vita e nella storia; bisogna riconoscere che es-so è dappertutto… Il cristiano sarà uomo fra gli uomini e non barerà con le esigenze della terra. (da Emmanuel Mounier - Agonia del Cristianesimo? pag. 24)
Pensiero per la cena del Signore: “Perciò, se stai portando la tua offerta all’altare di Dio e ti ricordi che tuo fratello ha qualco-sa contro di te, lascia lì l’offerta davanti all'altare, e vai a far pace con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta. (Matteo 5, 23 – 24)
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