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CONTRIBUTO DEL GRUPPO BIBLICO DELLA CDB DI SAN PAOLO DI ROMA PER IL CONVEGNO “FIRENZE II”

(sul tema: “Il Vangelo ci libera e non la legge”)

     Anche noi, del Gruppo biblico della Comunità cristiana di base di S. Paolo in Roma, partecipiamo volentieri, naturalmente toccando solo alcuni punti dei molti possibili, all’elaborazione della piattaforma sulla quale ci si dovrebbe fraternamente confrontare alla riunione di “Firenze-due”. Ringraziamo di tutto cuore quelle persone che, con amorosa dedizione, si sono impegnate ad avviare questa impresa, e speriamo che essa possa arrivare, con la grazia di Dio, a piena fioritura. Il titolo e l’argomento del convegno ci interpellano in particolare per la loro incidenza sulla realtà alla luce delle Scritture.  Nel titolo del convegno riecheggia infatti l’annuncio che l’apostolo Paolo infaticabilmente ripeteva e convincentemente argomentava alle prime Comunità cristiane d’oriente e d’occidente e che alla fine, dopo tante consolazioni e sofferenze, “per invidia e per discordia” (I Clemente V,5) gli costò la vita.

     E a monte (o alla base) di quell’annuncio, c’è il manifesto programmatico che Gesù enunciò sin dal suo primo apparire sulla scena pubblica in Galilea, quando nella sinagoga di Nazaret lesse questo passo di Isaia 61, 1-2: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Quindi, ci ricorda il Vangelo di Luca (4,21), Gesù commentò agli astanti: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

     Ben sappiamo, poi, come il potere politico e religioso condannò all’infamia ed alla crudeltà della croce quel Gesù che volle rimanere fedele fino alla morte al programma che aveva enunciato.

      Una premessa, intanto, sui due temi a confronto: Vangelo e Legge. Con essi ovviamente – e siamo certi che la cosa fosse ben chiara agli organizzatori – non si è intesa riproporre la vieta e nefasta contrapposizione tra scritture ebraiche, la Torah in particolare, e gli “Evangeli” cristiani, poiché entrambi possono essere letti e interpretati con spirito legalistico o essere fonte di gioia e meraviglia. Dunque, il discorso di “Firenze-due” sarà di per sé intra-cristiano, e riguarderà appunto il rapporto – dialettico? di salvezza? di complementarietà? di contrapposizione? di alternativa? – tra Evangelo e legge. 

     A differenza di Daniele (II secolo a. C.) e dello stesso Giovanni Battista che consideravano il tempo presente come totalmente corrotto e destinato ad una fine tremenda decisa da un Dio irato, Gesù non considerò incompatibile con l’attesa di un “Figlio dell’uomo” che sarebbe venuto sulle nubi, l’annuncio consolante di una straordinaria misericordia divina che intanto si riversava attraverso di lui sul mondo e chiamava gli esseri umani ad una fattiva collaborazione per il suo diffondersi: “Il Regno di Dio è giunto tra voi” ( “dentro di voi” per alcuni – Matteo 12,28).

     Questi “annunci per il tempo dell’attesa” sono preziosi per noi perché sempre, e anche attualmente, validi al di là di ogni paura apocalittica: “Amatevi come io vi ho amato”;  “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli”; “Chi tra voi vuole essere il primo si faccia servo di tutti”; “Non sono venuto a giudicare ma a salvare”; “La verità vi libererà”. Tali insegnamenti sono coronati dal supremo invito: “Fate questo in memoria di me”, rivolto a tutti i discepoli e le discepole, che comprende non solo il gesto, presto divenuto liturgico, dello spezzare il pane e del versare il vino, ma anche, indissolubilmente, l’impegno a spendere la propria vita per gli altri, come Gesù ha fatto.

     A far eco, una ventina di anni dopo, all’annuncio programmatico di Gesù ci sembra risuonare, sempre attuale, l’accorata domanda di Paolo: “O stolti Galati, chi vi ha ammaliato, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?” (Galati 3, 1). L’apostolo intendeva con questo distogliere i Galati dal ricadere, attraverso la circoncisione, nella “schiavitù della legge”, cioè nel riporre la loro fiducia nell’osservanza di una serie di precetti codificati in astratto e quasi idolatrati, anziché nella forza salvifica di Gesù, che si incarna in ogni carne che soffre e attende e diffonde salvezza; ma è Paolo stesso poi che in varie occasioni (si veda per tutte I Corinti 11,17 sgg.) ci fa intendere come il suo slogan “per fede e non per le opere” non deve diventare a sua volta un astratto scudo di comodo, bensì concretizzarsi in comportamenti vitali coerenti con l’esempio che Cristo ci ha dato.

     Per riprendere una felice espressione spesso usata dal compianto Giuseppe Barbaglio, noto biblista, nostro carissimo amico e fratello e animatore del Gruppo (cf. in particolare “Il pensare dell’apostolo Paolo”, EDB 2004 pagg. 135, 198 e spec. 282), quella annunciata da Paolo “non è solo una liberazione dalla legge” (che potrebbe trasformarsi in libertinaggio), “ma una liberazione per l’amore”. In questo senso non solo possiamo condividere il tema del convegno “Il Vangelo ci libera e non la legge”, ma affermare che “Il Vangelo ci libera dalla legge”.

     La linea rossa che separa il rigore della legge dalla sovrabbondanza della misericordia ci sembra esemplarmente espressa nella parabola del Samaritano. Sia il sacerdote che il levita, bloccati dai loro ruoli e timorosi di incorrere in impurità rituali, scansano il malcapitato bastonato dai ladroni, lasciandolo lì per terra “mezzo morto”. Solo il Samaritano, eretico e scismatico secondo la legge, ne sente compassione, “nel profondo delle sue viscere”, come accadeva spesso a Gesù. E costui infatti è l’esempio di prossimo che Gesù invita ad imitare.

     Analogamente, nella parabola del Figliol prodigo (o, meglio, dei due fratelli), di fronte al figlio che torna, è il Padre a commuoversi nelle viscere (Luca sceglie lo stesso verbo usato per il Samaritano), mentre il figlio maggiore, per paura che il fratello finisca per avere più di lui, sempre ligio e ossequioso – ma solo formalmente! – si lamenta che sia stata violata la giustizia formale che lo vorrebbe ormai come unico figlio. Non gioisce della gioia del Padre, e non ama né lui né il fratello.

     Sembra dunque profilarsi una irriducibile antinomia tra Vangelo e Legge. Ma se intendiamo il Vangelo, come in effetti è, una “legge dell’amore”, che come tale esige di incarnarsi in una infinita e imprevedibile pluralità di contesti e rifiuta perciò di essere codificata in astratte norme di legge, riusciamo forse a intravedere una via d’uscita.

    L’amore, infatti, è il principio, il tramite e il fine dell’azione della persona umana; le leggi sono i mezzi, gli strumenti, per inverare e incarnare l’amore per gli altri e per l’Altro: l’amore è ‘normato’ dall’altro. (“Vi esorto fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come ostia vivente santa gradita a Dio” Rom.12,1). Il sacrificio, dunque, non è di un animale morto, ma di un corpo vivo, che opera nella storia e che perciò si trova inserito in un tessuto di relazioni, in parte già costituito in parte da costruire. Se è vero che, secondo Paolo “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite… rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto” Rom 13,1-8, è anche vero però che “La sottomissione al potere civile fluisce dal consenso al disegno divino sulla conduzione della storia: sottrarsi od opporsi pregiudizialmente ad essa significherebbe (per Paolo) sottrarsi a Dio, ma è ovvio che l’autorità non deve essere usurpata e non deve essere esercitata contro la giustizia di Dio. Perciò di nuovo si tratta, da parte dei cristiani, di discernere e vagliare la legge e le leggi secondo la dialettica della libertà razionale e quella dello Spirito”.  (Dalmazio Mongillo, in “Atti del VI simposio di Tarso su Paolo Apostolo” a cura di L. Padovese. Roma 2000, pp 261-271).

     Due allora i movimenti che dovrebbero operare i cristiani nelle scelte di vita.

Da una parte confrontarsi con le leggi: la legge naturale, le leggi umane, le leggi e i precetti della chiesa; dall’altra ‘inventare’, cioè trovare e mettere in pratica la legge dello Spirito secondo l’etica delle virtù, in particolare dell’amore e della grazia.

     Se, partendo da queste considerazioni, tentiamo di applicarle ad eventi dei nostri tempi, ci possiamo chiedere dove sta l’Evangelo e dove sta la legge:

    - nel caso gravissimo dell’odio, aizzato sempre più, giorno dopo giorno, verso lo straniero da sedicenti cristiani, immemori evidentemente sia dell’insegnamento di Gesù “ero forestiero e mi avete accolto” sia di Esodo 23,9 e Levitico 19,33, e di tutti i profeti. E, in positivo, ci vengono in mente casi concreti di accoglienza per la preghiera in spazi “sacri”, e prese di posizione coraggiose per difendere gli immigrati extracomunitari;

- là ove nel mondo la pace è ferita e la giustizia infranta, è bello ricordare che molti cristiani, donne e uomini, si spendono con amore e per amore accanto agli impoveriti e agli oppressi;

- nei casi in cui la dignità umana è violentata, per es. nelle carceri, è bello citare associazioni che aiutano i carcerati, come quella guidata da don Rigoldi, che si prodigano e per inverare l’Evangelo e per garantire il rispetto previsto dalla Costituzione repubblicana;

- nelle vicende drammatiche di Welby ed Eluana Englaro, noi riteniamo che si debba ribadire, alto e forte, la nostra fermissima deplorazione per il rifiuto, apposto dalle Autorità ecclesiastiche, dei funerali in chiesa per Piergiorgio, e la nostra piena solidarietà a Beppino Englaro che, in scienza e coscienza, responsabilmente ha deciso di staccare la spina alla figlia da diciassette anni in coma irreversibile. Sappiamo bene che alcune gerarchie ecclesiastiche hanno parlato di suicidio nel primo caso, di omicidio nel secondo; ma da tali giudizi noi dissentiamo;

- sappiamo, ancora, che nei casi citati – ed in altri similari – all’origine di diversi pareri, in campo cattolico, vi è la comprensione e l’interpretazione della “legge naturale”. Ci sembra che non spetti alla Chiesa cattolica gerarchica in via esclusiva l’interpretazione di tale legge che, come abbiamo osservato, è essa stessa in evoluzione coi tempi e continuamente provocata ad emendarsi alla luce della regola immutabile dell’amore. E se così non fosse, ci si dovrebbe poi spiegare perché per tanti secoli il magistero papale, che oggi afferma il rispetto della vita “fino alla morte naturale”, abbia ritenuto lecito la soppressione fisica degli “eretici” e delle “streghe” (tali definiti e definite dal potere dominante). E, ancora: se è “naturale” tenere in vita artificialmente una persona, e per decenni, perché mai sarebbe “innaturale”, e dunque “immorale”, l’uso dei contraccettivi, come pure ha affermato Paolo VI nella Humanae vitae, enciclica fermamente ribadita da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI? Queste normative del magistero non violano forse la libertà di coscienza affermata dalla Vaticano II nella Gaudium et spes?

     Noi pensiamo dunque che la fedeltà all’Evangelo e alla libertà di coscienza debbano prevalere, se occorra, anche sulle normative ecclesiastiche; e non ci sembra biblicamente, ecclesialmente, teologicamente e storicamente sostenibile affermare e pretendere che infine debba prevalere, sempre e comunque, l’obbedienza al magistero. D’altronde – nella Chiesa cattolica italiana, almeno – a livello ufficiale non esistono reali spazi di dibattito vero, dove vescovi, presbiteri, diaconi, monaci, religiose, religiosi, laici uomini e donne, possano lealmente e fraternamente confrontare le loro magari differenti opinioni e proposte e, forse, grazie allo Spirito donatoci da Gesù Risorto, trovare insieme delle risposte condivise, oppure, risposte differenti ma tutte ritenute possibili perché nessuna di essa contraria alla Parola del Signore.  

     In conclusione: a noi sembra che incontri come quello di “Firenze-due” siano fecondi se, infine, riusciranno a individuare alcuni, pochi ma chiari e precisi, punti concreti sui quali invitare a riflettere l’intera Chiesa cattolica italiana perché essa, nella sinfonia dei suoi carismi, e nella distinzione delle rispettive responsabilità, possa proporre alle Chiese sorelle delle altre nazioni, e al vescovo di Roma, proposte coraggiose per inverare, per quanto possibile, nell’oggi che ci è dato, la liberazione annunziata da Gesù di Nazaret.

 Roma, 15 gennaio 2010

    Il Gruppo biblico della comunità cristiana di base di san Paolo