L'OFFERTA DELLA VEDOVA Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma, 8 novembre 2009 Gruppo Roma Sud-Est XXXII tempo ordinario anno B Vangelo del giorno Nel suo insegnamento
Gesù diceva: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe
vesti, ed essere salutati nelle piazze, e avere i primi seggi nelle
sinagoghe e i primi posti nei conviti; essi che divorano le case delle
vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro
riceveranno una maggior condanna».
Commento introduttivo del gruppo alle letture La scrittura di oggi ci presenta le figure delle due vedove: per la loro similarità di condizione sociale e di generosità morale sono state messe accanto. Nelle Scritture la vedovanza rappresenta simbolicamente la condizione di povertà ed estrema emarginazione sociale, nella considerazione di come nell’antichità quella condizione significava assoluta mancanza di diritti, nessun riconoscimento dal punto di vista sociale, in contesti così patriarcali in cui le donne senza la protezione e il dominio del maschio non contavano nulla. L’insegnamento di queste due racconti sulle vedove sembra scontato, auto esplicativo. Sicuramente pongono una provocazione per tutti: nelle nostre esistenze siamo abituati a toglierci il superfluo, il non necessario e soprattutto a non farci mancare quasi nulla. Eppure esse ci pongono altre suggestioni e riflessioni. E’ facile, quasi scontato che si faccia l’elogio del comportamento di queste due vedove che danno tutto quello che hanno. Ma questa interpretazione delle letture potrebbe diventare ambigua perché si finirebbe per esaltare la generosità interiore degli umili, che così facendo devono rimanere al loro posto, non devono fare niente per cambiare la loro situazione: amino Dio e avranno un premio nell’altra vita. Questa utilizzazione dell’esaltazione evangelica dei valori interiori fa parte della degenerazione ideologica del cristianesimo contro cui non saremo mai abbastanza intransigenti, perché ha portato nel corso della storia alla legittimazione di condizioni di ingiustizia sociale ed economica. Il vangelo di Marco, ci impone in particolare una riflessione sulla condizione delle nostre chiese. In contrapposizione alla figura della vedova che dona tutto ciò che ha, l’evangelista oppone – nel suo racconto - lo stile di vita dei potenti del tempo (scribi, farisei, religiosi) che vanno in giro con lunghe vesti, hanno i primi posti nelle sinagoghe nei banchetti e ostentano lunghe preghiere mentre “divorano le case delle vedove”. Questo nesso è di una profonda forza profetica. Come è stato possibile che queste parole siano risuonate per secoli e secoli, e non abbiano scalfito i loro destinatari? Come è stato possibile che le istituzioni religiose non si siano interrogate e non abbiamo messo in discussione privilegi economici e fiscali inseguendo consapevolmente compromessi e concordati con i vari poteri, senza sentire che questo urta, non in maniera indiretta o tortuosa, ma in modo frontale contro questa pagina del vangelo? Al gruppo è parso che in questi brani viene sottolineata l’importanza delle virtù orizzontali (quelle che si esprimono nell’attenzione all’altro, ai suoi bisogni, alle sue aspettative, in una parola all’importanza della relazione) in contrapposizione alle sempre più sostenute virtù verticali, quelle forme di religiosità che riaffiorano e ritornano in questa epoca, che si esprimono quasi esclusivamente nel rapporto privilegiato e appagante con la divinità, senza preoccuparsi di ciò che ci succede intorno e cosa succede nel mondo. Soffermarsi su come stiamo nelle relazioni orizzontali è sempre imbarazzante perché subito notiamo i nostri limiti e le nostre incoerenze, mentre se ci appaghiamo solo della relazione verticale tutto può essere vissuto a livello interiore, senza riscontro e giudizio. Nel comportamento delle vedove, c’è qualcosa di speciale: hanno poco ma lo condividono, qui la relazione verticale è affidamento, fiducia e provoca la relazione orizzontale: l’apertura all’altro, al dono. L’Essere e il Dare, due dimensioni che diventano fondamentali, sulle quali riflettere e confrontarsi: uno è se dona e se riesce a donarsi. Qui la rivoluzione è veramente copernicana: nell’essere e nel donare possiamo conciliare la dimensione dell’impegno politico e la dimensione esistenziale. L’attenzione agli altri non può appiattirsi su una delle 2 dimensioni: a volte ci riesce più facile impegnarsi nella dimensione politica, perché è quella che meno interroga i nostri stili di vita non facendo i conti con la vicinanza reale a chi sta male, a chi soffre concretamente, a chi è indifeso e emarginato. La tensione ad affiancare l’impegno politico e la relazione concreta con l’altro in difficoltà ci sembrano un modo per vivere il cambiamento modificando gli spazi privati delle nostre responsabilità, modellandoli secondo il principio che la nostra liberazione è possibile solo se va di pari passo con la liberazione degli altri. |
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