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“CHI ACCOGLIE UNO SOLO DI QUESTI BAMBINI NEL MIO NOME, ACCOGLIE ME…”

Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma, 20 settembre 2009

Gruppo Roma Sud-Est

Commento introduttivo del gruppo alle letture

Il gruppo si è subito soffermato  sulla  frase del vangelo di Marco:” E, preso un bambino in braccio, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me…”  La frase di Gesù che esalta il bambino risulta non consueta per chi è stato all’origine di una nuova fede. Un approccio che è stato dimenticato dal cristianesimo nel corso del suo sviluppo teologico con l’esaltazione della maturità, della assennatezza, dell’equilibrio. “Il bambino non è più di moda”, è troppo trasparente e  diretto in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti, sia positivi che negativi.  Il bambino ci riporta alla dimensione gratuita del gioco; disorienta, è imprevedibile, non è rassegnato: ci riporta a pensare che un cambiamento esistenziale, ma anche di trasformazione del mondo è possibile.

Ma il bambino preso in braccio da Gesù non è il simbolo caro alla letteratura romantica, dell’innocenza, dell’età semplice. E’ piuttosto il soggetto “senza potere” “che non ha diritti” “che non è riconosciuto”, va contestualizzato nella società e nella cultura giudaica al tempo di Gesù, dove, in genere, solo il maschio adulto è soggetto di diritto.

La riflessione del gruppo  si è concentrata nel riflettere sulle provocazioni esistenziali e collettive che questo vangelo ci offre oggi.

Siamo consapevoli che la forma di modernità che ha assunto oggi la nostra società va in direzione contraria alla spontaneità, alla  sincerità, alla chiarezza, attribuibili ad un bambino. Ormai anche le agenzie educative – si veda il sistema scolastico e universitario che si sta imponendo – impongono ai nostri bambini e ragazzi il modello di “educare a vincere” sotterrando definitivamente l’esortazione di don Milani di “educare a vivere” . Ciò viene portato alle estreme conseguenze nel mondo del lavoro: si impongono  termini come “aggressivo”, “sfida” “vincente” che abbandonano la loro accezione negativa, vengono trasformati nel loro significato e si impongono come modelli e slogan da perseguire, in sopraffazione sull’altro,. “Precari” ma “aggressivi”, per emergere ed imporsi occorre “fregare” gli altri, seguendo una sorta di darwinismo sociale.

Ma tale impostazione non viene dal nulla, viene da lontano e anche i cristiani non possono non rimproverarsi l’aver contribuito a tale deriva ogni volta che hanno abbandonato “la gratuità” “la povertà” “ la profezia” “l’insicurezza”. Se ciò è evidente nella storia e nell’oggi della chiesa istituzionale, non possiamo certo affermare che le nostre esistenze non hanno ceduto a questa tentazione.

Su questo tema anche la lettera di Giacomo ci aiuta perché riflette il clima che si è imposto anche nelle nostra società: la nostra tentazione è quella di “far finta di niente”, di non sporcarsi le mani, di rimanerne fuori. Se la chiesa istituzionale ha rinunciato quasi definitivamente “ a gridare sopra i tetti” il rischio è che anche le nostre comunità rinuncino alla dimensione profetica.

E’ il rapporto con la dimensione con il potere come dominio che ci riporta all’attualità dell’oggi di un mondo sconvolto da centinaia di guerre dimenticate, non solo quelle che saltano alla cronaca quando le vittime sono degli occidentali. E dalla riduzione del  potere a dominio, in cui  sono scivolati anche i cristiani, che derivano i conflitti  che stanno sconvolgendo il mondo. Ciò è avvenuto anche perché si è abbandonato l’insegnamento di Gesù: nel momento in cui annuncia il suo messaggio, fa una cosa assurda: annuncia la sua morte, la sua sconfitta, rovesciando tutte le logiche umane.

Ma ritornando al tema del bambino: chi è oggi l’ultimo? La logica di Gesù’ sconvolge “chi non si fa ultimo non entrerà nel regno dei cieli”: questa illogicità provoca le nostre esistenze, che andrebbero reimpostate a livello personale e comunitario, assumendo valori e comportamenti radicali. E’ il momento di mettersi in discussione, di riconsiderare le nostre scelte.

Siamo consapevoli che il vangelo non è un codice che ci indica le norme da seguire, ma solo delle tracce… possiamo ispirarci alle beatitudini che non sono delle leggi da seguire, ma ci indicano le tensioni  a cui dobbiamo ispirarci…

La comunità può aiutarci, a livello personale e collettivo, non riducendola ad un facile rifugio ma come luogo per  condividere le nostre inquietudini e  come spinta per trovare la forza di lottare e cambiare.

La nostra tenacia sta nel guardare nel buio quel poco di luce che rimane.