Valerio Gigante
Gli ottanta anni di Giovanni franzoni, protagonista del “secolo breve” della chiesa
Adista n.81/2008
Tra le tante parole pronunciate all’incontro organizzato dalla Comunità di S. Paolo per festeggiare gli 80 anni di Giovanni Franzoni, l’8 novembre scorso, quelle che meglio sintetizzano il senso dell’iniziativa sono forse quelle di una poesia di Giuseppe Gioacchino Belli, “L’omo e l’albero”. Un ulivo protesta con un taglialegna, che lo sta segando: di che ti lamenti, replica il falegname “Fra poco verrai messo su l'artare, / te porteranno in giro in processione, / insomma sarai santo e a l'occasione / farai quanti miracoli te pare. - / L'Arbero disse: - / Te ringrazzio tanto: / ma er carico d'olive che ciò addosso / nun te pare un miracolo più grosso / de tutti quelli che farei da santo? / Tu stai sciupanno troppe cose belle / in nome de la Fede! / T'inginocchi / se vedi che un pupazzo move l'occhi / e nun te curi de guardà le stelle!”.
“Profeta autentico del nostro tempo”
A salutare Franzoni c’erano più di 200 persone. Tra loro, molti amici della “prima ora” che magari si riaffacciavano in comunità dopo molti anni, ma anche tanti giovani, a testimonianza delle diverse generazioni che si sono succedute a S. Paolo dagli anni Sessanta sino ad oggi. Tanta commozione, un po’ di amarcord, molte parole di gratitudine. Soprattutto, l’orgoglio e la consapevolezza – testimoniata dai volti, oltre che dalle parole, di chi era presente in sala – della crescita di un’intera comunità nel segno di una fede adulta e consapevole, critica e antidogmatica. Un impegno di laicità che per Franzoni prosegue ancora oggi, attraverso esperienze come “Il laboratorio di religione”, frequentato dai bambini la domenica, prima della messa: non l’ora di catechismo, con la dottrina da imparare; piuttosto, un luogo in cui riflettere insieme sul significato della scelta di fede e delle responsabilità che porta con sé. Una volta - racconta sull’Unità (8/11) Marco Simoni, che al laboratorio partecipò da piccolo, una ventina di anni fa - “Giovanni ci spiegava la distinzione tra profeti autentici, vicini alle persone semplici, e i profeti pagati dal principe, dal potere. Anche da bambino, ero interessato al mio tempo e non capivo perché Dio avesse mandato profeti solo nell’antico Israele. Giovanni accolse l’obiezione e passammo alcune settimane a farci raccontare e leggere di profeti contemporanei: tra gli altri, don Milani, monsignor Romero, Martin Luther King”: “Franzoni - prosegue Simoni - siede certamente tra loro. Nessuno tra quelli che lo conoscono avrebbe dubbi sul valore profetico della sua vita, della sua fede, del suo pensiero”.
Concilio e ritorno
E certamente la vita di Giovanni Franzoni percorre tutto intero il “secolo breve” della Chiesa cattolica. Nato a Varna, in Bulgaria, nel 1928, Franzoni trascorse l’adolescenza a Firenze. Nel 1950 entrò tra i benedettini, cambiando il suo vero nome - Mario - in quello di Giovanni Battista. Studente di teologia al Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo di Roma, nel ‘55 venne ordinato prete. Dopo aver lavorato come insegnante di storia e filosofia nel collegio attiguo all’abbazia benedettina di Farfa, nel marzo 1964 venne eletto abate dell'abbazia di San Paolo Fuori le Mura e, in tale veste, partecipò come padre conciliare (era il più giovane) alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II. La stagione conciliare segnò profondamente l’esperienza spirituale e pastorale di Franzoni. Paolo VI gli raccomandò esplicitamente di sostenere la riforma liturgica voluta dal Vaticano II ed egli aderì con entusiasmo, promuovendo le “Settimane di San Paolo”, giornate di studio – ogni 18 mesi – in cui esegeti cattolici, ortodossi e protestanti approfondivano, nell’ottica di un cammino ecumenico allora agli albori, aspetti della vita e delle lettere dell’apostolo delle genti. Nel frattempo l’abate, insieme ai confratelli ed alla comunità, iniziava ad interrogarsi su quale fosse il ruolo di un monastero che era sì “fuori” dalle mura, ma che doveva necessariamente collocarsi “dentro” la città e le sue contraddizioni. In quegli anni, Franzoni avviò così l'esperienza della Comunità cristiana di Base, in cui la lettura del Vangelo era calata nella realtà sociale e politica. La forte connotazione progressista assunta dalla comunità portò presto Franzoni in rotta di collisione con le gerarchie ecclesiastiche. Fu un crescendo: prima l’opposizione al Concordato e alla guerra in Vietnam; poi la solidarietà con le lotte operaie del 1969-70 e il collegamento con le Comunità cristiane di Base che stavano nascendo in tutta Italia; infine, la lettera pastorale La Terra è di Dio, in cui si invitava la Chiesa ad avvicinarsi all’imminente giubileo (quello del 1975) riscoprendone le radici bibliche: la restituzione della terra ai poveri, la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi. Il fascicoletto, distribuito come inserto speciale di Com, il settimanale della Comunità fondato nel 1971, fu letto anche in Curia: al Vaticano non piacque in particolare la denuncia delle compromissioni dell’establishment ecclesiastico con la speculazione edilizia a Roma. Del resto, ormai da tempo Franzoni era sotto il tiro delle gerarchie: l’abbazia aveva ricevuto tre ispezioni e dom Giovanni era stato convocato in Segretaria di Stato da mons. Giovanni Benelli. Per ragioni non teologiche, ma squisitamente politiche, Franzoni fu così costretto, nell’agosto del 1973, a dimettersi dalla carica di abate. Fu poi sospeso a divinis nel 1974 per essersi pubblicamente espresso per la libertà di coscienza in occasione del referendum sul divorzio. Successivamente, nel 1976, fu ridotto allo stato laicale per aver dichiarato la sua intenzione di voto a favore del Pci nelle elezioni politiche di quell’anno.
Anche dopo i duri provvedimenti ecclesiastici emessi nei suoi confronti, Franzoni ha continuato ad essere testimone scomodo del suo tempo e segno di contraddizione per una Chiesa che – dopo i timidi segni di rinnovamento negli anni del post concilio – si è progressivamente richiusa in se stessa, assumendo un atteggiamento sempre più intransigente verso le voci “dissonanti”. Nel 1981 si è schierato a favore della libera scelta delle donne in occasione del referendum abrogativo della legge sull’aborto. Ha continuato, da allora, la sua attività di animatore delle Comunità di Base, impegnandosi contestualmente su moltissimi fronti, ecclesiali e politici.
Un impegno che continua
Attivissimo sui temi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, profondo conoscitore dell’Islam, delle religioni e della spiritualità orientale, teologo sempre alla frontiera (basti pensare alla sua posizione sull’eutanasia), Franzoni ha sempre coniugato l’impegno intellettuale con l’azione politica diretta: a favore del popolo palestinese (durante la festa si raccoglievano fondi per la costruzione di una centrale fotovoltaica ed eolica in un ospedale di Gaza), o del popolo iracheno, attraverso l’“Associazione amicizia Italia-Iraq. L'Iraq agli iracheni”. In ogni caso, ostinatamente dalla parte di quello che Marx definiva il “lato cattivo” della storia, e contro ogni “pensiero unico”, sia esso teologico, economico o politico.
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