Contributo della Comunità cristiana di base di San Paolo in Roma
alla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema:
“La
Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” (*)
Premessa
Come già avvenuto in occasione delle precedenti
Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei vescovi, anche in vista di
quella imminente dedicata a “La Parola di Dio nella vita e nella
missione della Chiesa”, la nostra Comunità intende offrire un suo
contributo dopo aver attentamente riconsiderato la propria esperienza
alla luce dell’Instrumentum laboris [I.L.], il testo da cui si
avvierà il dibattito sinodale.
Infatti, a partire dalle dolorose vicende
che circa trentacinque anni or sono hanno allentato ma non reciso i
legami che ci uniscono alla Chiesa istituzionale (1), l’esigenza di
sopravvivere come Comunità di credenti in Cristo e a Lui uniti mediante
il battesimo, ci ha convinti della necessità della riscoperta delle
Sacre Scritture, non più soltanto come oggetto di conoscenza, di
preghiera o di edificazione spirituale, ma come presupposto e linfa di
vita (cf. specialmente il § 34 di I.L.).
Ci siamo dovuti dunque, in queste
circostanze storiche, confrontare in modo nuovo con la parola di Dio
contenuta nelle Scritture e con la tradizione ecclesiale che su di esse,
ma già all’interno di esse (2), si era andata formando.
Per queste considerazioni riteniamo che la
nostra esperienza, lungi dal volersi proporre come paradigmatica, e
malgrado i suoi limiti, abbia tuttavia un suo valore
significativo, anche se rapportata alle affermazioni di I.L.: “E’ nelle
piccole Comunità, nei Gruppi biblici, nei movimenti ecclesiali che
maggiormente e in modo più approfondito ci si confronta con la Parola di
Dio”(cf. i §§ 7a e b; 18c; 22e; 26b; incipit cap. 4; 32).
Uno dei
temi sui quali abbiamo dovuto sin dall’inizio riflettere è quello,
toccato più volte anche dall’I.L. direttamente o indirettamente (es.:
Prefaz. 3° cpv; §§ 13, 14, 16, 18, 22a, 30, 40, 48), del rapporto tra
Spirito santo, Sacre Scritture e Chiesa “docente”; tra Maestri e
uditori, i quali ultimi, se il terreno è buono (§ 18) forse diventeranno
discepoli e a loro volta Maestri o piuttosto, auspicabilmente e a
seconda delle circostanze, talvolta maestri e sempre discepoli, sapienti
e sempre alla ricerca della Verità, pecore e pastori come Gesù che,
sommo Pastore al quale le “pecore” devono “andare dietro” (Mt 17,23) è
anche l’Agnus Dei che prende su di sé i peccati del mondo.
E’
proprio su questo tema, la cui grande importanza ecclesiologica non
sfugge certo ai vescovi (cf. in particolare § 29 I.L.), che un incontro
a così alto livello dedicato appunto alla “Parola di Dio nella vita e
nella missione della Chiesa” potrebbe aiutare a fare chiarezza. Sulla
base della nostra marginale esperienza osiamo in merito esprimere un
auspicio, confessare un’utopia, elevare una preghiera: che la
sollecitudine per l’unità della Chiesa che agli inizi del II secolo
indusse S. Ignazio di Antiochia a battersi con tanta convinzione per
esaltare la figura monocratica del vescovo tanto da dire Ubi
episcopus ibi Ecclesia – ma che finì col tempo per scavare un solco
anomalo tra Chiesa di vertice e Chiesa di base – possa oggi essere
egualmente salvaguardata proprio grazie al coinvolgimento, attraverso
una più ampia e profonda conoscenza delle Scritture, di tutto il
“popolo di Dio” e anche delle comunità più emarginate, tanto che
si arrivi un giorno tornare a dire, come nelle prime Comunità, Ubi
Ecclesia ibi Episcopus (3)
1) La nostra esperienza
Al
momento (1973) della nostra uscita dalla Basilica di san Paolo
continuavano a vivere tra noi quei pastori che fino a quel momento ci
avevano accompagnato su pascoli abbondanti e aiutato a crescere con la
loro sapienza e saggezza, non gelosi delle loro prerogative ma
desiderosi quasi di spogliarsi degli strumenti e del corredo di
conoscenze di cui la grazia al Signore e la loro fatica li avevano
forniti per condividerli con tutti, affinché tutti crescessero e loro
diminuissero, non nel sapere e nell’autorevolezza, ché anzi si erano
accresciuti nel contatto con la Comunità, ma nella loro ostentazione.
Non
avremmo potuto percorrere da soli – senza pastori e in particolare senza
Giovanni Franzoni, allora abate della basilica di san Paolo e attorno al
quale sin dall’inizio si era raccolta la Comunità – la strada impervia
che ci si parava dinnanzi una volta perdute le consuetudinarie certezze
da secoli custodite tra le spesse mura della basilica Ostiense. Ebbene,
questi pastori – censurati non per motivi di fede, ma politici e
disciplinari a causa del loro sollecito impegno, giudicato eccessivo e
imprudente dalle gerarchie ecclesiastiche, di voler incarnare nella
Chiesa, nel mondo e in particolare tra i poveri lo spirito di
rinnovamento, così vicino alle ragioni ideali e iniziali del
cristianesimo, che emergeva dal Concilio Vaticano II – hanno continuato
a camminare con noi. E in questo cammino, dobbiamo ricordarlo, non tutta
la Chiesa gerarchica ci fu ostile: amiamo menzionare almeno mons.
Clemente Riva, di venerata memoria, negli anni Settanta/Ottanta nel
Vicariato di Roma vescovo ausiliare per il settore Sud. Egli, in una
delle sue varie visite di preghiera e di ascolto, affermò di vedere in
noi “una Comunità di credenti, in ricerca di fede, del suo settore”.
D’altronde, l’alternativa era la fine di questa esperienza dal basso e
la dispersione della comunità il che, osiamo affermare a 35 anni di
distanza, non sarebbe stato un bene per nessuno. I medesimi pastori, ai
quali si sono via via aggiunti, in modi e per periodi diversi, vari
esperti in scienze bibliche, chierici e laici (come dimenticare il
nostro carissimo amico Giuseppe Barbaglio, prematuramente scomparso?),
hanno sin dall’inizio favorito, aiutato, raccomandato l’approfondimento
della parola di Dio.
E’ in
tale contesto che fiorì un fruttuoso interagire tra “esperti” e comuni
fedeli; quelli, solleciti nel moderare gli entusiasmi interpretativi e
nel richiamare alla necessità di uno studio serio, condotto sulla base
di criteri riconosciuti, in particolare del metodo storico-critico;
questi altri, invece, ricordando loro, con l’affollarsi di domande
relative alle scelte da fare in quel delicato frangente e al fondamento
scritturale degli atti liturgici e sacramentali compiuti, che non si
trovavano in un’aula accademica ma in una Comunità viva nella quale si
cercava, senza presunzioni ma tuttavia con fiducia, di incarnare la
Parola (cf. § 9b; 10 cpv.; *12; 16 cpv. I.L.).
Del
resto – come già notammo nel 2004, nel nostro contributo al Sinodo dei
vescovi che l’anno successivo avrebbe riflettuto sull’Eucaristia – siamo
ben consapevoli dei problemi complessi legati al rapporto Rivelazione /
Parola di Dio / Scritture / Responsabilità degli “agiografi” (i
redattori dei libri biblici); e della varietà di interpretazioni che
lungo la storia, e anche oggi, nelle Chiese e in particolare nel mondo
teologico, sono state date e si danno a questo intreccio. Anche nella
nostra Comunità vi è sempre stato, in proposito, e vi è tuttora, un
pluralismo di opinioni. Sappiamo bene che se le Scritture ebraiche e
cristiane contengono un messaggio d’amore del Signore per l’umanità,
tale messaggio è espresso con deboli parole umane e, spesso, quasi
sepolto o nascosto da espressioni fin troppo umane, che trasudano di
pregiudizi, e spesso anche di violenza, e sono gravate da insuperabili
limiti culturali. E’ dunque impresa necessaria, ma ardua e delicata,
distinguere tra la Parola e le parole, tra il cuore del messaggio e il
suo rivestimento inevitabilmente limitato, come del resto dimostra anche
la Chiesa cattolica ufficiale che – tanto per fare un esempio – era
convintissima che il geocentrismo fosse chiaramente affermato dalle
Scritture, e dunque fosse Parola di Dio permanente e indiscutibile; e
perciò il papato condannò Galileo che sosteneva la “eresia”
dell’eliocentrismo. Un “equivoco” clamoroso che il magistero
ecclesiastico potrebbe riproporre anche oggi, in altri àmbiti.
2) Alcuni punti più importanti
Senza
ripercorrere analiticamente, in questa sede, la nostra esperienza fatta
allora, e che continua tuttora, della Parola di Dio e i frutti copiosi
che a nostro avviso ne sono scaturiti per la vita della Comunità e dei
singoli, tentiamo di riassumere alcune delle impressioni più vive che
sul tema del Sinodo la memoria ci rende presenti, nella speranza che ciò
sia di impulso per altre persone e Comunità le quali, nella differenza
delle loro storie e posizioni, siano però seriamente interessate a
questa gioia di conoscenza, pane di vita e strumento di unità che è la
Parola di Dio:
a) abbiamo
innanzi tutto sperimentato, e non ci stanchiamo di ripeterlo, che lo
studio delle Sacre Scritture è tanto più proficuo quanto più l’ascolto
tra “docenti” e “discenti” è reciproco, ed entrambi siano attenti
all’ascolto dello Spirito santo, che è sopra a tutti e si manifesta
talvolta nei modi più inattesi e attraverso le persone più impensate: i
piccoli, i poveri, gli emarginati (Mt 11, 25 e par.) (4)
b) abbiamo altresì sperimentato quanto
sia vera la parola di Isaia (55, 9-11) citata come “occhiello” alla
parte seconda dell’Instrumentum circa l’alterità di tale Parola
rispetto alle nostre intelligenze ed esigenze (dopo 35 anni, certi passi
ci sorprendono ancora ogni volta per la loro freschezza e ricchezza di
significati), ma siamo stati anche confermati nella fiducia che, avendo
tale Parola scelto di incarnarsi nella fragile umanità delle donne e
degli uomini di questo nostro mondo, essa è per tutti: tutti se ne
devono sentire destinatari e in tutti, individui e comunità di cui fanno
parte, accresce vita e speranza (§ 41 I.L.)
c)
in
conseguenza siamo anche edotti che chi affronta lo studio delle Sacre
Scritture non può fare a meno di tenere presenti, per quanto è
possibile, le precedenti interpretazioni, specialmente quelle che sono
state assunte al livello “magisteriale” ; ma anche che non dovrebbe
sacrificare a queste la sua libertà di ricerca. Accettare, per eccesso
di ubbidienza o per pigrizia, le spiegazioni date senza esserne
intimamente convinti; accantonare i passi difficili; rifiutare come
eretiche o pericolose certe opinioni prima di discuterle con serenità,
non serve a niente, anzi diminuisce nel credente la capacità di ”
rendere ragione della propria speranza” (I Pt 3,15, il che oggi potrebbe
forse avvenire più facilmente che in passato dato il progresso della
ricerca biblica), e lo rende facile preda di fondamentalismi e sétte.
Questo è un modo per “disincarnare” la Parola e nel momento del
giudizio, come insegna un midrash, non ci potremo giustificare
col dire: “mi è stato insegnato così”, anzi il Maestro sarà chiamato
corresponsabile. Occorre, sempre e per tutti, “franchezza, coraggio,
spirito di povertà, umiltà, coerenza, cordialità” come bene dice
l’ultimo capoverso del § 43 dell’Instrumentum. Di alcuni passi
(5) si sente parlare nelle aule universitarie e nei libri degli
specialisti; qualche volta in specifiche conferenze; quasi mai nei mezzi
di comunicazione di massa e ben poco o per nulla nelle omelie
domenicali, che sono poi per la maggior parte dei cristiani l’unico
approccio, frammentario e saltuario, alle Scritture. “Per non
scandalizzarli” si dice. Ebbene, questi cristiani rischiano di rimanere
sempre in quella fragile minorità che non piaceva all’apostolo Paolo (I
Cor 3,1 sgg. e 14,20; Fil 1,9; cf. Ebr 5, 11-14). Dal latte, magari
attraverso i biscotti, occorre avere il coraggio di passare al cibo
solido perché, con tutto il rispetto per la “santa ignoranza” di
individui isolati (6), è una fede matura il presupposto per un vero
recupero dei laici, uomini e donne, come popolo di Dio capace di
assumersi corresponsabilità nella gestione della Chiesa. Che è poi un
aspetto costitutivo della Chiesa apostolica, mentre oggi il termine
“apostolico” ricorda solo la gerarchia. Quante volte invece noi
cristiani siamo simili a frutti di serra, belli, ma deludenti nella
sostanza, non paragonabile a quella dei frutti cresciuti sul campo, che
magari appaiono raggrinziti, ma che in realtà sono buonissimi e
nutrienti.
Lo scarso amore e lo scarso interesse per
le Scritture, lamentato qua e là nell’Instrumentum, potrebbe
essere dovuto alla misconoscenza della loro ricchezza e attualissima
validità nonché alla sottovalutazione degli effetti che potrebbe avere
sulla vita personale e comunitaria una loro lettura approfondita, senza
pregiudizi e sensibile alle nuove esigenze e conoscenze antropologiche e
culturali di un mondo in rapidissimo e multiforme cambiamento;
d) a
questo proposito siamo consapevoli che aprirsi senza corazze protettive
alla Parola di Dio, “lasciare ogni cosa e seguirlo” come il Signore
chiede, restando nel mondo, comporta inevitabilmente rischi ed
emarginazioni. Si hanno “il centuplo quaggiù” in fratelli e sorelle e
senso della vita, ma anche persecuzioni, come prevedeva l’evangelista
(Mc 10,30; 10,16; Gv 15,18). Di fatto, come avvenne con Gesù, quando si
annuncia e si testimonia con sincerità il Vangelo, si suscita la
reazione dei “poteri forti” del denaro e dell’egoismo. E allora c’è il
pericolo dei compromessi. Si rischia di non aver più il coraggio di
uscire dalla barca per andare incontro a Gesù che ci chiama (Mt 14,
30.31). Veramente profetico, perché detto o scritto in un periodo nel
quale le condizioni esterne non lasciavano prevedere nulla di simile è
il passo di Luca (6,26): “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno
bene di voi, allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i
falsi profeti”.
e) da
sempre nella nostra comunità esiste un “Gruppo Biblico” che si dedica
allo studio delle Sacre Scritture in modo organico e non tematico, come
accade invece nei gruppi che preparano l’Eucaristia domenicale seguendo
generalmente il calendario liturgico ufficiale. Non che lo studio del
Gruppo sia astratto e separato dalla vita della Comunità, ché la
liturgia della Parola durante l’Eucaristia è luogo di incontro e di
confronto di tutte le componenti; inoltre l’apporto del Gruppo biblico,
come quello del Gruppo donne e dei singoli è importante tutte le volte
che si tratti di elaborare documenti come questo, riassuntivi del
pensiero e, in generale, del “sentire” della Comunità (anche se non si
tratta di una rappresentanza formale o ufficiale!) o di prendere,
insieme in assemblea, decisioni importanti. Tuttavia esso è il luogo e
l’occasione per una ricerca meno legata ad esigenze immediate e palestra
di maturazione per molti anche non forniti di studi specifici. Con
l’aiuto discreto e non invadente né continuo degli “esperti”, come sopra
detto, tutti si cresce insieme, in tempi e modi e con fatiche diverse e
ciascuno fortifica il proprio carisma in favore della Comunità.
Il
Gruppo, che si riunisce settimanalmente, si dà, come “compito a casa” la
lettura di un brano del libro prescelto per la lettura continuativa,
sulla base di traduzioni e commenti possibilmente diversi, e il
confronto tra le suggestioni che queste letture individuali producono e
quelle che invece emergono quando esse sono conferite all’esame
collettivo dimostra come la Parola fiorisca molto più copiosa e con
reciproco vantaggio quando è dibattuta e approfondita comunitariamente.
E’ il caso di dire, riprendendo papa Gregorio I (il “Magno”), che
eloquia Dei crescunt cum legente, ma tanto più crescono se i lettori
si confrontano insieme.
f) nella
storia della nostra Comunità e del suo rapporto con la Bibbia,
esperienze di altri gruppi e comunità, scambi di visite fraterne,
incontri, modi di leggere le Scritture (come ad esempio la teologia
contestuale e quella della Liberazione, pur tenendo conto, ovviamente,
delle differenti situazioni geopolitiche e sociali in cui noi ci
troviamo, ad esempio, rispetto all’America latina) ci hanno dato un
valido aiuto per la nostra “ortodossia” e per la nostra “ortoprassi”. Ma
un posto davvero speciale ha avuto ed ha la ricerca delle donne che, a
partire dalla loro sensibilità e dalla loro condizione di emarginate tra
gli emarginati nell’approccio alle Scritture, ne hanno scoperto e
diffuso aspetti trascurati o non valorizzati dalla esegesi maschile e
denunciato il condizionamento della cultura patriarcale che molti passi
riflettono. Dobbiamo alla teologia femminile o femminista, per esempio,
da loro studiata, elaborata e offerta alla condivisione della Comunità
la riscoperta e rivalutazione dell’aspetto materno di Dio quale si trova
in Is 44,2 e 24 e 49,15; la rivendicazione già “in principio” della pari
dignità dei due sessi quale si desume nella prima descrizione
dell’essere umano contenuta in Gn 1,27 – “A sua immagine lo creò,
maschio e femmina li creò” – piuttosto che nella più nota, e anch’essa
assai ricca di significati, ma più strumentalizzabile da una mentalità
maschilista, storia della creazione dalla costola di un essere che fosse
di “aiuto” ad Adamo (Gn 2, 18-25); la rivalutazione di tante figure
femminili dell’Antico Testamento.
Per venire alle Scritture cristiane, è
certo loro merito aver sottolineato il ruolo primario che ebbero le
donne nell’annuncio della resurrezione (è appena il caso di citare Mt
28,7; Mc 16,1; Lc. 24, 8; l’intero capitolo 20 di Gv): tutti episodi
sconosciuti o scartati, in quanto allora non probanti, da Paolo, in I
Cor 15,5, ma per fortuna tramandati fino a noi. Parimenti alle donne
dobbiamo la sottolineatura dell’atteggiamento, straordinariamente
liberale per il suo tempo, che Gesù ebbe nei loro confronti, consentendo
che facessero parte del gruppo dei suoi discepoli itineranti (Lc 8, 1-8)
e non solo, come letteralmente dice lo stesso Luca, per servirlo e
servire gli apostoli nelle loro necessità materiali, ché è impossibile
ipotizzare che non abbiano utilizzato la loro rete di amicizie femminili
per diffondere l’annuncio della buona novella in case e famiglie, come
avveniva ampiamente nelle comunità paoline.(7)
Questo può rispondere anche alla
osservazione che si fa comunemente per giustificare la loro esclusione
dai posti di responsabilità nella Chiesa: Gesù – si afferma, ritenendo
così di chiudere per sempre ogni discussione – scelse solo uomini come
apostoli. Ma una cosa è scandalizzare i contemporanei portandosi
appresso donne che lasciavano a casa figli e mariti, altra cosa, a quel
tempo incomprensibile, sarebbe stato scegliere donne, o non circoncisi,
da collocare su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele (Mt
19,28) o mandarle a predicare sulle piazze. Gesù ha seminato novità
straordinarie, ma nel suo contesto, e ha lasciato a noi l’incarico di
coltivarle. Chi avrebbe pensato, vivente Gesù, che la circoncisione, da
Lui mai messa in discussione, sarebbe stata di lì a pochi anni abolita
dalla Chiesa per i gentili (pagani)? Per non parlare poi della tenerezza
e amicizia che Egli mostrò in particolare per alcune di esse (Maria di
Magdala; la donna di Betania in Mt 26,6; la Maria di Lc 10, 38; Maria
sorella di Lazzaro, anche se non è escluso che alcune di queste
coincidano; la “eretica” e peccatrice Samaritana…). Ricordiamo ancora la
testimonianza di fede di alcune di esse, che sembra sorprendere lo
stesso Gesù e contribuire a farne maturare l’autocoscienza, come
l’episodio della Cananea in Mt 15, 21 e sgg. o la confessione della
messianicità di Gesù da parte di Marta in Gv 11,27, così simile a quella
attribuita da Matteo a Pietro in 16,16, e quindi anch’essa ispirata
dallo Spirito Santo, ma alla quale non segue un peana del tipo di quello
che Matteo riserva a Pietro.
Le donne, generalmente escluse dalla sfera
del sacro, hanno riscoperto il “sacro” in loro e in noi tutti, il divino
soffio che dimora in noi e che, diradate le nebbie che nell’intimo ci
travagliano, diviene positiva realtà relazionale di fraternità e di
sorellanza.
g) fin
dagli inizi dell’esistenza della nostra Comunità ci si è chiesto come
spiegare ai nostri figli e figlie, e nipoti, con modi e termini adatti,
il significato delle nostre scelte e delle nostre letture, che
obbiettivamente – come accade di ciò che si fa e si dice nel contesto
familiare – li coinvolgevano. Tanto più questa esigenza si mostrava
pressante quanto più essi confrontavano, attraverso le amicizie
scolastiche, le esperienze scoutistiche, gli incontri pastorali la
nostra prassi sacramentale e liturgica con quella corrente
nell’ufficialità della Chiesa. Memori della nostra esperienza, abbiamo
da sempre cercato di trasmettere non formule acquisite, risposte
confezionate, pretese di completezza, ma proposte di riflessione sui
temi fondamentali di una fede vissuta nella realtà, e l’abitudine a
vagliare gli argomenti, magari in modo graduale e problematico, ma
assumendoli nella propria capacità di ragionamento. E’ sorto così un
“Laboratorio di religione”, diviso per classi di età, nel quale le Sacre
Scritture, ebraiche e cristiane, e le esperienze di fede di altri popoli
e culture e religioni, uniti alla tradizione ecclesiastica antica e
nuova, vengono raccontate e accolte e discusse con la franchezza e
freschezza di cui sono capaci i giovani. Si cerca inoltre di far
conoscere ai ragazzi esperienze di altre Comunità e gruppi marginali,
specialmente quelli che non hanno pregiudiziali nel conoscere a loro
volta la nostra esperienza.
Conclusione
“Se i
cristiani non avessero dimenticato le Scritture”.
Fu un
grande dono di Dio alle Chiese che, nel secolo XVI, Martin Lutero,
Giovanni Calvino e gli altri Riformatori denunciassero i guasti enormi
che gravavano sulle Chiese a causa della loro dimenticanza della Parola
di Dio, sostituita dal ricorso alle tradizioni umane, alla filosofia,
alla letteratura, e perfino alla fantasia. Ma purtroppo la
Controriforma tridentina portò, di fatto, a togliere dalle mani dei
cattolici la Bibbia, con le pessime conseguenze derivanti da questa
amputazione. Grazie a Dio, il rinnovamento biblico del Novecento, e
soprattutto il Concilio Vaticano II, hanno rimesso in mano ai cattolici
le Sacre Scritture: molto è stato fatto, ma moltissimo – ci sembra –
resta ancora da fare perché tale “riscoperta” porti, anche attraverso il
dialogo ecumenico, i suoi frutti.
Se i
cristiani, nella loro grande maggioranza, non avessero dimenticato le
Scritture che sono divenute, nel corso dei secoli, appannaggio esclusivo
di un gruppo ristretto di loro, saprebbero che accanto ad alcuni passi
enfatizzati per motivi storici e sui quali si è costruito un certo tipo
di Chiesa, ce ne sono altri che sarebbe giusto rivalutare, non per
cancellare i primi, ma per costruire insieme ad essi una sintesi più
felice ed equilibrata e vicina alla sensibilità moderna, e comunque tale
da aiutare a ben distinguere tra gli espliciti comandamenti del Signore
e le normative ecclesiastiche, sempre seconde e discutibili; e, dunque,
per mettere in discussione, e relativizzare, dottrine e prassi pur
interessanti, ma storicamente datate, e non fondate sulla Parola
costitutiva del Signore, ma che spesso la gente – fuorviata da una
predicazione approssimativa – riteneva (e ritiene) esplicitamente volute
dalle Scritture.
Se è vero che la visione di Gioele (3,1 sgg.):
“Dopo
questo sopra ogni carne
Io
effonderò il mio Spirito:
I vostri
figli e le vostre figlie profeteranno
I vostri
vecchi avranno dei sogni
I vostri
giovani avranno visioni.
Anche
sopra gli schiavi e le schiave
In quei
giorni effonderò il mio Spirito”
si
realizzerà compiutamente al ritorno del Cristo glorioso, è anche vero
che Gesù ha detto (Mt 12,28; Lc 11,20) ”il Regno di Dio è tra voi”
(“dentro di voi “ secondo un’altra traduzione); ora, anche se poi Lui è
stato materialmente espulso dal mondo, ci ha lasciato innanzi tutto il
suo insegnamento (8) e poi, nella Pentecoste, lo Spirito che ci
“condurrà alla verità tutta intera” Gv 16,13). Per questo ci chiama
tutti a collaborare, attenti ai segni dei tempi e ai nuovi messaggi del
Signore da ascoltare e decifrare da qualunque fonte provengano, interna
o esterna al Cristianesimo, per favorire l’avvento definitivo del Regno.
Ecco perché dobbiamo ascoltare anche gli schiavi e le schiave, i giovani
e i vecchi, gli uomini e le donne. Ecco perché la voce dei laici, che
sono poi così gran parte della Chiesa, deve tornare ad essere seriamente
ascoltata. Anche se tali voci, biblicamente fondate, mettono in
questione mentalità radicatissime. Ogni Chiesa si fonda sulla Parola e
sulla Cena del Signore (“Fate questo in memoria di me”); ma, per molti
aspetti, la grande nemica delle Chiese istituzionali non è il mondo, non
sono i non cristiani, non sono gli atei o gli agnostici, non è la
secolarizzazione, ma è proprio la Parola, perché essa le mette in crisi,
le contesta, relativizza le istituzioni da esse create, le pungola
continuamente a convertirsi ed a decidere di perdere la loro vita per
amore di Gesù e degli umiliati ed umiliate del mondo.
Roma, 21
settembre 2008 La Comunità
cristiana di base di san Paolo
(1)
Cf: Davide Palumbo Fuori le mura, Borla, Roma1994; e
l’articolo bilancio sui trenta anni della Comunità nella riedizione de
La Terra è di Dio, CNT, Roma 2003.
(2)
Per quanto tutte le Scritture canoniche siano da considerarsi
“ispirate” non è chi non veda, ad es., che tra le lettere autentiche di
S. Paolo e le cosiddette lettere “pastorali” a lui attribuite (cioè
quelle a Tito e a Timoteo), c’è un bel pezzo di storia;
altrettanto dicasi della stesura finale dei quattro vangeli nei quali si
riflettono le situazioni delle comunità all’interno delle quali furono
scritti.
(3)
Se qualche volta noi, costretti dalla necessità e fiduciosi nella
parola del Signore secondo la quale “dove due o tre sono riuniti nel mio
nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), abbiamo dovuto affermare che
Ubi Ecclesia ibi Christus, non lo abbiamo certo fatto in polemica
con i vescovi o per orgogliosa affermazione della nostra autonomia, ma
consapevoli di dover arrossire ancor più di vergogna, sapendoLo
presente, ogni volta che i nostri comportamenti tradiscono la nostra
professione di fede, memori delle parole dell’apostolo: II Cor 13,5:
“Esaminate voi stessi per vedere se vivete nella fede. Sottoponetevi
alla prova: riconoscete che Gesù Cristo vive fra voi? O è vero il
contrario?”.
(4)
Chi insegnerà all’esegeta biblico e quindi al credente il vivo
significato di certe parole ricorrenti nella Bibbia, come “straniero,
persecuzione, fame…”, meglio di coloro che hanno vissuto queste
esperienze?
(5)
Per fare un esempio tra i tanti, accenniamo solo al problema
dell’interpretazione storica o simbolica dei cosiddetti “Vangeli
dell’infanzia”.
(6) E’ chiaro, ma è bene ribadirlo, che la conoscenza
delle Scritture di per sé non garantisce nulla: c’è chi conosce poco
o per nulla le Scritture ed ha una fede ed una dedizione esemplari (cf.
Mt 25, 31 sgg.); e chi conosce a memoria la Scrittura, ma poi tiene
comportamenti che danno scandalo.
(7) Anche se l’apostolo Paolo in alcuni passi,
amplificati poi dalla tradizione, si mostra grandemente debitore
della mentalità del suo tempo circa la subordinata condizione
femminile, sono tuttavia sue sia la fondamentale affermazione che
“in Cristo non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né
uomo né donna” (Gal 3,28), sia la piena fiducia nell’elemento
femminile per l’edificazione delle Chiese primitive, come si può
vedere nelle chiusure delle sue lettere più importanti con i saluti
ai collaboratori e alla collaboratrici. Queste ultime risultano
occupate anche in posti eminenti nelle Chiese locali, e per esse si
usano gli stessi termini adoperati di solito per identificare
l’attività degli apostoli (in Rom 16,7 Paolo afferma: “Salutate
Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono degli
apostoli insigni che erano in Cristo prima di me”).
(8) Qualunque sia stata la visione di Gesù circa il
tempo dopo la Sua morte – i suoi discepoli e le prime generazioni
cristiane erano comunque convinte che il suo ritorno fosse imminente
– tuttavia, anche a voler restare ai detti che più rigorosamente
possono risalire proprio a Gesù, Egli ha dato insegnamenti che sono
validi e immutabili qualunque sia il tempo per il quale la Chiesa
dovrà durare: la messa in guardia dalla tentazione del potere e
dalla voglia di primeggiare (Mt 23, 8-11; 20, 25; Mc 9, 33);
l’invito alla cautela nel giudizio (discorso sulla zizzania, Mt
13,24); la preferenza per l’ortoprassi sull’ortodossia (Mt 25,35:
avevo fame e mi avete dato da mangiare…); l’esortazione alla
misericordia (Mt 5,7; 9,13: misericordia voglio e non sacrifici);
l’adorare Dio in spirito e verità (Gv 4, 24).
(* ) Il testo è stato inviato, il 22 settembre, al card. Angelo
Bagnasco, presidente della CEI, e a mons. Nikola Eterovic, segretario
generale del Sinodo dei vescovi