Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma - Gruppo di Monte Sacro

Eucarestia del 11 novembre 2007

 

Strada, autogestione, amicizia liberatrice

  

Pensiero iniziale

Gli empi mandano via dalla strada i bisognosi, costringono i poveri a nascondersi (Giobbe 24, 4).

 

Introduzione al tema

Massimo:

In questa eucaristia ci soffermiamo in particolare su quello che ha significato per noi l’incontro con Kenia e Maria Elena, del Movimento dei ragazzi di strada del Guatemala (Mojoca), nel loro viaggio in Italia insieme a Gerardo Lutte.

Ma oltre ai ragazzi di strada la nostra comunità è legata anche:

  • da tempo ai palestinesi dei campi profughi del Libano
  • più di recente ai profughi richiedenti asilo politico (scuola di italiano nei locali della comunità)

Tutti e tre questi gruppi, legati alla strada e in lotta per la propria liberazione, ci interpellano e rappresentano un’opportunità di liberazione anche per noi.

Con riferimento al nostro paese ci sono poi tre episodi (uno remoto e due recenti):

  • i baraccati di Prato Rotondo a Roma
  • l’intolleranza verso i lavavetri di strada (nella Firenze di Domenici e nella Bologna di Cofferati)
  • l’omicidio a Roma della Reggiani da parte di un rumeno

che hanno portato al centro del dibattito il tema della tolleranza nei confronti delle persone “diverse” che qualcuno non vorrebbe vedere nelle strade delle nostre città.

Partiamo quindi dalla strada, che, non è solo luogo di insicurezza e violenza, ma anche luogo di sopravvivenza, incontro e amicizia.

Alla luce dei vangeli la strada è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio e con il prossimo (vita pubblica di Gesù in strada, episodi del Samaritano, di Emmaus, etc.)

E in questo luogo privilegiato occorre manifestare la fiducia che gli ultimi possano trovare in se stessi la spinta per il loro percorso di crescita (fino alla completa autogestione)

E in questo luogo privilegiato occorre promuovere la liberazione degli ultimiattraverso un percorso individuale e collettivo che si basa sulla fratellanza-sorellanza (o con parole del Movimento dei ragazzi di strada del Guatemala: amicizia liberatrice).

dalla lettera di Nora Habed da Managua, Settembre 2007

Care amiche e amici, vi scrivo dal Nicaragua.….

che mi ricorda il Guatemala per il senso della vita quotidiana che, spesso, coincide con la ricerca dell’essenzialità delle cose. Da questi parti si impara più facilmente a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo e credo che l’esperienza che ho vissuto durante i quattro mesi di lavoro e di condivisione con il Mojoca (Movimento giovani della strada), è stata per me una grande lezione.

La vita in Città del Guatemala è molto dura. Il clima di violenza, oltre che di smog, si respira ad ogni momento e questo spesso crea un senso di paura e di diffidenza, perché è tutto incerto, imprevedibile. Oggi ci siamo, domani non si sa. Frase ancora più reale in chi vive in un clima di emarginazione, di discriminazione o di violazione dei diritti fondamentali. Le ragazze e i ragazzi di strada fanno parte di questa realtà.

Ciò nonostante, quello che sorprende nella vita quotidiana del Movimento, è che anche se si ha pianto per la scomparsa di qualche compagna o compagno, spesso morti in modo violento, la vita continua. Le ragazze e i ragazzi continuano a sorridere per il solo fatto di continuare ad esistere e questo fa che siano molto solidali tra loro, come se si fosse tra compagni o fratelli di sopravvivenza.

Il Movimento però mira oltre: non basta sopravvivere, è importante vivere…….

E’ questo senso di futuro da costruire, che ci accomuna nella nostre storie personali magari così diverse tra primo e terzo mondo. Se anche noi non credessimo che sì, è possibile immaginarsi un mondo diverso, probabilmente non avremmo fatto parte di questa Rete di Amicizia che esiste perché vuole scommettere perché c’è un oltre, ora in fase di costruzione, ma che si arriverà. Ed è così che la loro storia, diventa anche la nostra storia.

 

Letture

 

dal “Pinocchio Nero” di Marco Baliani

Sonodello stesso colore della strada, un non colore, quello che il tempo, l’uso e il consumo lasciano sulle cose come una patina indelebile, una sporcizia distillata, che amalgama e tinge mani, teste, scarpe. Sono stracci che camminano. I corpi sono unti di sporco accumulato, si perdono, smagriti, rachitici, dentro giacche slargate, cappottacci, felpe che il passare dei giorni e dei mesi ha reso uniformemente stinti, un tutt’uno con la loro pelle color cuoio.

Se li chiamano chocora (spazzatura) è perché questi ragazzi non sono persone, sono cose, non hanno uno statuto di esistenza, non posseggono un’identità, sono non persone, che sopravvivono ai margini di quello che è già marginale. L’unico segno di riconoscimento è quello dell’appartenenza allabanda, al gruppo, alla base. Per il resto del mondo non esistono, possono essere uccisi, violentati, malmenati, oppure rinchiusi in prigione, quando la polizia mostra i muscoli e ripulisce le strade del centro.

 

Isaia 19, 23-24

Quel giorno ci sarà una strada che unisce l'Egitto e l’Assiria. Gli Egiziani andranno in Assiria e gli Assiri in Egitto. Insieme serviranno il Signore. Quel giorno Israele sarà accanto all’Egitto e all'Assiria; sarà un segno che il Signore dell’universo benedice tutto il mondo.

 

dal “Pinocchio Nero” di Marco Baliani

Pinocchio: “Chi sei?”

Fata: “Sono una fata.”

Pinocchio: “Non voglio morire.”

Fata: “Tu non puoi morire.”

Pinocchio: “Perché?”

Fata: “Perché tu sei fatto di legno e i burattini non muoiono mai.”

Pinocchio: “Sono stanco di essere un burattino, voglio diventare un ragazzo come tutti gli altri. Se sei davvero una fata, trasformami! Voglio diventare di carne, sangue e ossa.”

Fata: “Non posso trasformarti. Questo dipende solo da te.”

 

Luca 5,23-25
“E’ più facile dire: "I tuoi peccati sono perdonati", oppure dire: "Alzati e cammina!"? Ebbene, io vi farò vedere che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati.” Poi si voltò verso il paralitico e gli disse: "Alzati, prendi la tua barella, e torna a casa ". Immediatamente quell’uomo si alzò davanti a tutti, prese la barella sulla quale era sdraiato e se ne andò a casa sua ringraziando Dio.

 

Matteo 15,32-38

Gesù chiamò i suoi discepoli e disse: «Questa gente mi fa pena. Già da tre giorni stanno con me e non hanno più niente da mangiare. Non voglio mandarli a casa digiuni, perché potrebbero sentirsi male lungo la strada». I discepoli gli dissero: «Come potremo qui, in un luogo deserto, trovare tanto pane per una folla così grande?» E Gesù domandò: «Quanti pani avete?» Risposero: «Sette, e pochi pesciolini». E Gesùordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani e i pesci; fece la preghiera di ringraziamento, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono e ne ebbero abbastanza. Quando poi si raccolsero gli avanzi, se ne riempirono sette ceste. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

Commenti del gruppo

 

Anna Maria:

Commentando brevemente il testo di Matteo 32, seconda moltiplicazione dei pani, notiamo una differenza con gli altri testi (sono ben sei nei vangeli le narrazioni su questo miracolo): è Gesù che prende l’iniziativa, mentre i discepoli sono come indifferenti.

Matteo ci dice che Gesù ebbe “compassione” di questa gente: si è accorto che questi uomini e donne sono in difficoltà… e agisce per alleviare la loro sofferenza. E’ una folla informe, smarrita, ma proprio per questa gente Gesù compie il miracolo: seduti sulla strada mangiano il pane mentre Gesù parla e insegna, come leggiamo nel vangelo di Marco.

Un esempio e un monito quello di Gesù; un invito a tenere gli occhi aperti, a sapersi industriare per trovare le risorse necessarie per agire; non possiamo stare a guardare; un invito a cercare i fratelli anche tra gli sconosciuti, senza rassegnarsi di fronte a difficoltà o pregiudizi, senza farsi condizionare dal pensiero comune, semplicemente mossi da compassione; per condividere pane e difficoltà e saper offrire il calore dell’amicizia da cui noi stessi saremo modificati.

 

Nino:

Lo abbiamo sentito. Gesù non si è accostato al paralitico per sollevarlo. Non gli ha porto nemmeno una mano perché vi si aggrappasse. Gli ha solo detto; <alzati e cammina>.

Io non so come il paralitico se la sia cavata. Ma il significato dell'atteggiamento di Gesù mi sembra eloquente. Ha detto al paralitico <fatti coraggio, affronta la tua disgrazia, prendi in mano la tua vita e percorri la tua strada, non rifiutarti alla vita neppure se colpito da una disgrazia così grave. E fallo da te, con le tue forze, perché se non lo facessi da te nemmeno io, che sono il figlio di Dio, riuscirei a metterti in piedi>.

Lo stesso atteggiamento ce lo ha mostrato il secondo brano che abbiamo letto del Vangelo. Quando si è accorto che la folla stava per andarsene ed ha temuto che molti potessero venir meno lungo la strada, Gesù non ha chiesto ai discepoli di portargli il cibo che avevano perché lo distribuissero solo dopo che lui lo avesse moltiplicato. Ha semplicemente detto, dopo aver pronunciato la preghiera di benedizione :”dividete ciò che avete”.

Il racconto evangelico dice che sette pani e pochi pesciolini sfamarono una moltitudine e che si raccolsero molti cesti di avanzi. E fu miracolo. Ma non lo aveva fatto Gesù il miracolo. Lo avevano fatto gli apostoli e quella moltitudine. Era stato il miracolo della condivisione.

Anche in questo caso l'insegnamento di Gesù mi sembra evidente. “E' inutile che io moltiplichi le risorse se voi non imparate a farvi bastare ciò che avete e a condividerlo. Se non invarrà la prassi della condivisone, qualunque quantità sarà insufficiente, perché ci sarà sempre qualcuno che accaparrerà per sé buona parte delle risorse, mandandone senza tanti altri”.

E’ in questa linea che Giovanni ci ha insegnato che la terra edanche il cielo sono di Dio.

Ma guardiamoci intorno.

La strada di cui parla la prima lettura, quella che unisca l’Assiria e l’Egitto non è stata ancora costruita. Ed il giorno in cui Israele stia accanto ad essi non è ancora spuntato. Il segno dunque che il Dio dell’universo benedica tutto il mondo non ancora si vede. E d'altronde cosa dovrebbe benedire?

Fino a poco tempo fa l'80% delle risorse del mondo era accaparrato dal 20% degli abitanti del pianeta. Ora gli accaparratori sono diminuiti: sono solo il 15%; i beni accaparrati però sono sempre dell’ordine dell'80% delle risorse disponibili. Di conseguenza sono aumentati gli espropriati: sono diventati l'85% dell’umanità; e ad essi continua a toccare il residuo 20%. Ciò provoca migrazioni bibliche e guerre in un mondo a macchia di leopardo: un mare di miseria e di fame con poche sacche di ricchezza e benessere.

Ed io?

Io faccio parte di quel 15% di accaparratori. Non sono fra i principali, è vero; in mezzo a loro ci sono capitato per caso e a  me tocca poco più delle briciole di ciò che è stato sottratto all'85% del genere umano. Non di meno ne fruisco. Come dire: sono comunque un ricettatore. E sono anche connivente, perché faccio troppo poco per oppormi al sistema dell'accaparramento, per boicottarne il funzionamento, per concorrere a creare un'alternativa praticabile, che pure sarebbe possibile.

In questo contesto giorni fa, come sapete, sono spuntate  tra noi Kenia e Maria Elena venute dal Guatemala, uno dei tanti paesi martoriati di questo mondo..

Anch’io le ho incontrate. La loro venuta l'ho percepita come un invito. E' come se mi avessero detto: <che fai lì nel tuo comodo letto dell'assuefazione, della ignavia o della rassegnazione. Alzati e cammina come abbiamo fatto noi. Vieni a lottare insieme a noi per la comune liberazione da questa struttura di peccato che ti rende correo della violenza che ci opprime>. E se oggi stessero di nuovo tra noi, penso che potrei leggere nei loro occhi la continuazione di quel invito: <Alzati e fa' qualcosa per quei rumeni ai quali, poiché tra loro c'era un”assassino”, hanno tolto anche le povere baracche nelle quali dormivano>.

Ma Kenia e Maria Elena oggi sono in Belgio e stanno per ripartire per il Guatemala. Io invece continuo a restare qui, adagiato nella mia inveterata ignavia. Continuerò ad inviare al Mojoca qualche spicciolo malgrado che durante il loro giro d'Italia Kenia e Maria Elena abbiano detto più volte di non essere venute tra noi per chiedere soldi, ma per farsi riconoscere come soggetti, per rivendicare la loro identità, per pretendere solidarietà. Ma io più che mandare pochi, pochissimi soldi al Mojoca non so fare. E la solidarietà non è questa.

Temo che abbia ragione Nora quando, nella lettera che ci ha indirizzato, ci fa intendere che qui, nel ricco nord, è molto difficile distinguere ciò che è essenziale. E' per questo forse che  non riesco ad essere davvero solidale con le ragazze ed i ragazzi di strada del Guatemala, né con  chi in strada vive qui, a Roma.

Sollecitato dalla considerazione di una di noi che ha detto:<se non ci cambia, la loro venuta è inutile>, mi domando che senso abbia che io canti, quando se ne presenterà l’occasione, la canzone di De André, che di tanto in tanto ci capita  di cantare nelle nostre assemblee, quella del pescatore, del pane e del vino, nonché di un assassino. E mi domando pure quale sia il contenuto che con le mie opere do a  quel segno di condivisione della vita che è lo spezzare il pane.

Io non ho risposte a questi interrogativi e per ciò mi piacerebbe – e ve ne sarei grato – che mi aiutaste a trovarle. Credo però che non vadano cercate lontano, ma qui, perché se non cambio io e non provo a cambiare il contesto nel quale vivo, non posso aspettarmi che il mondo cambi.

 

Massimo:

La situazione descritta da Giobbe (pensiero iniziale) è quella di città del Guatemala ma anche, in un contesto diverso, delle nostre città Bologna, Firenze, etc..

In Guatemala come in Italia, si vuole la pulizia sociale: il centro città deve essere un luogo fruibile per i turisti, quindi deve essere ripulito dai ragazzi di strada, dai barboni, dai lavavetri, dagli handicappati, dai rom, da tutti i diversi.

“I poveri devono ridere perché piangere fa male al re” diceva una canzone.

Nel Pinocchio Nero troviamo una descrizione dei ragazzi di strada di Nairobi (Kenia) che potrebbe essere riproposta tale e quale per i ragazzi di strada di città del Guatemala e di tutte le altre metropoli del mondo.

I ragazzi di strada vengono considerati spazzatura, persone senza identità e diritti, “non-persone”, da ignorare e reprimere.

In Isaia invece la strada è ciò che permette la comunicazione e l’unione tra i popoli del mondo intero. Il contrario della torre di Babele.

La strada è il segno della fratellanza tra i popoli e dell’amore reciproco fra i popoli e tra i popoli e Dio.

 

Fausto: preghiera penitenziale

Perdonami se non oso toccare i tuoi stracci,

perdono se nella mia spazzatura tu trovi oggetti che servono alla tua vita;

perdonami se al semaforo tengo il finestrino serrato;

perdono se la mia paura è diventato il “problema della sicurezza”;

perdono se rimango affascinato dalle ragioni benpensanti;

perdonami se faccio fatica a chiamarti fratello;

perdono per tutte le volte che ho pensato che il mio mondo fosse l’unico;

perdonami perché tu non ci sei; io ti lascio fuori dalla porta, sulla strada;

chiedo perdono a te che hai invaso la mia città, le sponde dei miei fiumi maleodoranti,

le mie piste ciclabili, le mie stazioni, i miei monumenti, la mia storia,

ma non hai ancora fatto breccia nel mio cuore.

 

Molli: Preghiera

“Gli empi mandano via dalla strada i bisognosi, costringono i poveri a nascondersi” (Giobbe 24,4)

Riconosciamo davanti al Signore le nostre responsabilità:

  • nell’aver respinto ai margini della società le persone che sopravvivono nelle strade, nelle baraccopoli, nei campi profughi…
  • nell’aver accaparrato per noi e per le nostre famiglie la maggior parte delle risorse

Chiediamo perdono al Signore per i nostri egoismi.

E chiediamo perdono alle sorelle e ai fratelli per averli rifiutati e derubati.

Preghiamo il Signore di aiutarci :

  • a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo e a condividere il tanto che abbiamo
  • a imparare dalla testimonianza delle persone che, come Kenia e Maria Elena, si sono “alzate in piedi” e cercano di realizzare progetti di vita in una situazione di violazione del diritto a esistere
  • a non sprecare l’amicizia che a volte ci viene donata proprio da quelle persone che vivono in condizioni marginali, molto diverse dalle nostre

 

Pensiero finale

La saggezza sta in piedi in cima ai luoghi più elevati, sulla strada, agli incroci; grida presso le porte della città, all'ingresso, negli androni (Proverbi 8,2-3).

 

 

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