Dialogo inquieto
Maestro,
vorrei prendere la parola , in difesa dei nove lebbrosi che non sono tornati a ringraziarti.
…. “Gli altri nove dove sono?”…
Sono andati, di corsa, dove Tu li hai inviati: ai sacerdoti del tempio.
Tu sai quanto questi erano fiscali; senza il loro beneplacito quei poveretti non potevano rientrare dalle loro famiglie, riabbracciare le loro spose e i loro figli.
E riprendere a vivere!
Sì, purtroppo è così: la guarigione operata da Te non era sufficiente a ridare loro una possibilità di vita nella comunità di appartenenza.
Avrebbero dovuto avere il coraggio di dare a tutto quel loro mondo un calcio e via.
Avrebbero dovuto avere fede in Te; lasciare tutti e tutto e seguirti.
Eppure, Tu hai voluto inviarli al tempio; nella tua saggezza hai ritenuto che non fosse ancora giunto il tempo di andare oltre...
Tu sapevi quanto dura fosse la Legge: “ se la piaga è piaga di lebbra, il sacerdote dopo averla esaminata, dichiari quell’uomo immondo!” (Levitico 13,3).
E la notte e la disperazione piombavano, irrimediabilmente su quella esistenza.
La legge del Libro, inesorabilmente e spietatamente continua: “il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vestiti strappati e il capo scoperto, si coprirà la barba gridando: immondo, immondo! E sarà immondo finché avrà la piaga. E’ immondo, se ne resterà solo, abiterà fuori l’accampamento” (Levitico 13,45-46).
Solo un miracolo poteva strapparlo da quella morte anzi tempo. E forse il ricco, questi sì, poteva scampare da questa abiezione: nascondendo nel suo palazzo e coperto di adeguati vestiti la sua maledizione.
Tu li hai, dunque, tutti liberati da quella maledetta piaga, ma non hai ritenuto fosse giunto il momento diliberarli dal Tempio, dalla Religione, dai Sacerdoti.
Il Tempio ha pesato anche su di Te e sul tuo cammino.
Quelle pietre ti faranno persino piangere, un giorno, nella mestizia di una fine, temuta prevedibile vicina, ma non scansata.
E doveva ancora arrivare il giorno in cui avresti detto ad una donna della Samaria:verrà il tempo in cui non adorerete il Signore né nel tempio sul vostro monte né nel tempio a Gerusalemme; adorerete Dio in Spirito e Verità.
Non ti poteva comprendere quella donna e non abbiamo ancora compreso noi stessi, oggi, quella tua parola sconvolgente e liberatrice. E abbiamo costruito nuovi templi e nuovi recinti sacri: perché risulti chiaro ed evidente, chi sta dentro e chi sta fuori.
I nove, intanto, guariti dalla piaga, dal disonore e dall’esclusione, sono subito rientrati nell’appartenenza e nella sicurezza della Legge. Al sacerdote avranno detto: un Profeta ci ha guariti e ci ha inviati a te. E il sacerdote non ha indagato ulteriormente: se vi ha detto di passare da noi, non è, per ora, un profeta temibile.
Solo uno straniero è riuscito a percepire la novità.
Il tuo evangelista riferisce che tu gli hai detto: la tua fede ti ha salvato.
La fede in Te e non nel Tempio?
Salvato dalla religione e dalla schiavitù della Legge ed ora libero di seguirti, di amare le cose che Tu ami e Te stesso? …mettersi alla tua sequela…
E perché questo evento capita ad uno straniero e non alla gente del tuo popolo eletto?
Forse perché egli, lo straniero, è già fuori dal Tempio?
Lui, unescluso a prescindere dalla lebbra, ti ha riconosciuto.
Un giorno a Giovanni il battista che mandava i suoi discepoli a interrogarti, hai risposto: “andate e riferite a Giovanni: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti (Matteo, 11,4). E non aggiungesti altro; l’evocazione di quelle parole degli antichi profeti doveva bastare.
Ai nove, rientrati nella Legge e nella Religione, le conosciute e venerate parole dei profeti apparivano come suppellettili sacri e preziosi da venerare, ma da lasciare lì, nel Tempio; chiusinel mobiletto dei sacri rotoli delle sacre scritture.
E Tu – sempre più fuori e lontano da tutti i Templi - continui il tuo cammino di profeta del Padre e compagno di strada dello straniero.
Mario Campli
CdB di S. Paolo
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