La preghiera che svela l’idea che abbiamo di Dio
Eucaristia del 18 marzo 2007
(a cura del gruppo di Montesacro della CdB di San Paolo)
Introduzione
Nelle nostre precedenti riflessioni siamo partiti interrogandoci sui mutamenti connessi con il nostro invecchiare, sui limiti e sulle sofferenze che accompagnanoquesta nostra età, e abbiamo poi proseguito chiedendoci quale senso di consapevolezza ci guidi oggi nel nostro cammino. In particolare, la dimensione della nostra fede.
Con queste premesse siamo arrivati a farci alcune domande sulla preghiera:
- Che senso ha e che valore ha la preghiera nella attuale stagione delle nostra vita?
- Pregare è parlare a Dio, parlare con Dio, parlare di Dio?
- Quale forma di preghiera è più vicina alla nostra sensibilità: quella mentale, di meditazione e ricerca? Quella interiore, che si fa silenzio e vuoto per favorire l’ ascolto?
Nel farci queste domande ci siamo accorti che non potevamo ignorare che dalla preghiera emerge l’immagine che ciascuno di noi si va facendo di Dio.
Sono quindi evidenti le difficoltà che abbiamo incontrato, le diversità di pensiero e di sensibilità che in certi momenti ci hanno diviso.
Rispecchia queste diversità tra noi la scelta delle letture bibliche. Consapevoli che non avremmo trovato parole adeguate e definitive per sciogliere i dubbi dell’oggi, abbiamo preferito proporre letture anche tra loro difformi e per linguaggio e per contenuto, cercando poi insieme, qui in comunità, di rintracciare una linea di ricerca più vicina ai nostri bisogni e rispettosa delle diverse sensibilità.
Da un’immagine di Dio potente e presente nella storia delle parole di Isaia, a un Dio che accoglie la preghiera di chi riconosce i propri limiti, come il pubblicano di Luca, fino ad arrivare ad un Dio assente che lascia morire sulla croce il figlio diletto che grida: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”del Vangelo di Marco.
Letture
Isaia 56, 6-7
Agli stranieri che mi hanno accettato per onorarmi, amarmi e servirmi io annunzio: se gli stranieri rispettano il sabato e rimangono fedeli alla mia alleanza, io li porterò sul mio monte santo e li riempirò di gioia nella mia casa di preghiera. Accetterò con piacere i sacrifici che mi offriranno sull’altare. La mia casa si chiamerà “Casa di preghiera per tutti i popoli”.
Luca 18, 9-14
Poi Gesù raccontò un’altra parabola per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo". Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore!". Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».
Giovanni 4, 20-24
Gesù le dice: - Voi Samaritani adorate Dio senza conoscerlo; noi in Giudea lo adoriamo e lo conosciamo, perché Dio salva gli uomini cominciando dal nostro popolo. Ma credimi: viene il momento in cui l’adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme, viene un’ora, anzi è già venuta, in cui gli uomini adoreranno il Padre guidati dallo Spirito e dalla verità di Dio. Dio è spirito. Chi lo adora deve lasciarsi guidare dallo Spirito e dalla verità di Dio.
“La natura” di Paola Leopardi da La bancarella <critica> a Campo de’ Fiori
- il manifesto del 10 febbraio 2007 -
La natura ti insegna che sei fragile, che non vivi in eterno, che niente vive in eterno, e soprattutto che ogni anno torna la primavera , e poi l’estate l’autunno l’inverno, questo nascere e finire continui, e tutto è così naturale che tu non pensi più alla morte come alla fine del tutto, ma come qualcosa che fa parte del tutto, perché la tua vita è solo contingente anche se è unica e tutti i tuoi giorni sono unici ed irripetibili. Vedi io ho parlato coi miei figli della morte quando erano già grandicelli, gli ho detto che una volta – loro piccolini – mi ero molto preoccupata perché non stavo bene ed avevo il terrore di lasciarli soli, mentre ora potevo morire tranquilla perché loro erano autonomi, e quindi potevo anche vivere tranquilla. Non è una resa alla vita, è un affidarsi alla vita, in un ciclo di continuità…”
Commento alle letture
Abbiamo deciso di porre la preghiera come tema della nostra riflessione prima che Ratzinger proclamasse che la preghiera è questione di vita o di morte e prima che Ruini stabilisse di inviare con la benedizione pasquale un suo scritto sui Dico, giusto per ribadire l’irruzione del sacro, di cui lui si sente uno dei massimi gestori, nelle nostre vite. Per puro caso, ci abbiamo indovinato.
I testi che vi proponiamo per la liturgia di oggi intempo di quaresima sono un primo, timido,problematico e contraddittorio tentativo di trovare parole e forme nuove per parlare di Dio, rivolgerci a lui, esprimere il nostro bisogno di amore e le nostre incertezze..
In esso si riflettono i dubbi e le diverse sensibilità emerse nel gruppo che tuttavia ha ritenuto necessario cimentarsi comunque in questa impresa, quando, nel cercare qualche frammento di risposta agli interrogativi di cui vi ha riferito Annamaria nella introduzione, ci siamo resi conto che dallepreghiere che noi stessi abbiamo proposto alla comunità anche di recente trapelaun’idea di Dio che viene dal passato, che non sentiamo più nostra: un Dio possente, che interviene nella storia del mondo ed in quella di ciascuno e ciascuna di noi; un Dio che interferisce; da cui tutto o quasi dipende, che protegge e dispone; che è padre ed è anchepadrone; al quale si chiede perciòperdono ed aiuto e che va ringraziato in ogni caso:per ciò che siamo e ciò che abbiamo. Un’idea che induce ad una preghiera rassicurante e al tempo stesso deresponsabilizzante. Come quella di papa Ratzingerche, pellegrino in un campo di sterminio, ha chiesto a Dio dove fosse quando vi si sterminavono milioni di suoi figli, invece di chiederlo al popolo di Dio dove fosse e domandare alle gerarchie delle varie chiese e confessioni, a partire da quella vaticana, cosa facessero in quegli anni terribili. Un’idea di Dio ed una preghiera delle quali anch’io,come probabilmente molti di noi, mi sono a lungo nutrito.
Un’idea assai diversa, dunque, da quella che ci siamo fatta in trent’anni di ricerca. Una ricerca che ci ha fatto scoprire un Dio che si fa da parte, che si pone ai margini della vita e della storia, un Dioche si è fatto impotentee debole, che non interviene né interferisce, che rispetta la libertà e l‘autonomia del creato e degli esseri viventi. Un Dio che chiamiamo madre, non per condiscendenza verso le compagne del nostro cammino, ma perché ci aspettiamo di trovare in lui non tanto la supposta debolezza quanto la tenerezza, la dolcezza, la delicatezza della femminilità. Un Dio che in definitiva non è neppureil nostro primo riferimento, costituito piuttosto dal Cristo, da Gesù di Nazareth; ilpersonaggio storico che nei suoi 33 anni di vita ha instaurato una prassi nuova,alla cui sequela abbiamo imparato a liberarci del sacro, a sottrarci dalla sua irruente invadenza, abbiamo appreso il valore della laicità, abbiamo compreso l’importanza di responsabilizzarci delle nostre vite e dei nostri percorsi di ricerca e di pratica della fede. Un Gesù che ai suoi tempi spiegò a samaritani e giudei che Dio non lo si incontra né sul monte né nel tempio diGerusalemme; nemmeno oggi vi sono luoghi privilegiati per incontrarlo, poniamo questo salone di via Ostiense piuttosto che piazza Cavour o Monte Antenne o il Lungo Tevere, perché il tempo è già venuto di incontrarlo – impresa improba, davvero - in spirito e verità quando si dà da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete di acqua o di giustizia.
Ma come mai nella nostra preghiera resiste un’immagine di Diocosì lontana ormaidalla nostra percezionee perché non ancora traspare l’immagine che ne abbiamo oggi? Da dove deriva l’dea di un Dio onnipotente ed onnisciente?
Forse da due aspetti che sono fra le componenti fondanti della nostra cultura di occidentali ed anchedella teologia cristiana, essendosi questa sviluppata soprattutto in occidente: da un lato i trattimaschilista e patriarcale che le caratterizza; dall’altro laconcezione antropocentrica che le pervade e che “sfila” l’essere umano dalla natura per porlo non solo al di fuori ma al di sopra di essa.
A questo punto noi maschi ci siamo rivolti alle donne del gruppo, partecipi della ricerca almeno ventennale delle donne delle Cdb, chiedendo il soccorso alla comune riflessione del contributo della teologia femminile e del pensiero femminista, sia per approfondire l’idea nuova che ci andiamo facendo di Dio, siaper trovare un linguaggioche la rivelinella preghiera.
Sull’altro versante, quello del superamento dell’antropocentrismo,abbiamo trovato un possibile contributo in una singolare coincidenza tra le posizioni e gli scritti di un filosofo, Mario Alcaro, di un filosofo e teologo, Raimund Panikkar, di una donna che si dedica alla coltura biologica,Paola Leonardi, e di uno scrittore e poeta, Erri De Luca. Con modalità diverse, ma non troppo, tutti e quattro ricollocano l’ essere umanonella natura,riconciliandolocon la vita.
Alcaro sottolinea- sono parole sue - che “la vita umana, privata del suo radicamento nel contesto naturale, perde ogni sua giustificazione. Non solo la vita, a dire il vero, ma anche la morte. Quest’ultima è sul piano storico, solo e nient’altro che un male radicale contro cui si infrangono tutti i valori mondani; se è inserita nell’ambito naturale, invece, essa si manifesta come un fatto fisiologicoe funzionale: per il rinnovamento e l’evoluzione della specie, è necessario che gli individui,dopo un arco di tempo biologicamente programmato, lascino il campo ad altri individui”. Gli fa eco Panikkar: “Che accade all’uomo quando muore? … Noi siamo gocce che quando muoiono cadono nell’universo immenso del mare. Che cosa sono io? La goccia d’acqua, cioè la mia individualità che mi differenzia da tutte le altre gocce, o l’acqua della goccia ? Se durante il mio pellegrinaggio terreno mi scopro come acqua, allora all’acqua che sono io, all’acqua della goccia non succede niente quando cade nel mare. Anzi, tutta quella tensione superficiale che mi rendeva difficile comunicare sparisce. La mia personalità, quella quantità e qualità d’acqua non sparisce. La resurrezione è scoprirsi acqua; allora la morte rappresenterebbe un accidente e non creerebbe angoscia”. Degli altri due non riferisco, poichéabbiamo inserito due brevi stralci dei loro scritti tra i testi proposti per la liturgia, essendoci sembrati di aiuto oltre che per capire anche per rinnovare il linguaggio delpregare insieme.
E al fine di provare a rinnovarneillinguaggio abbiamo cominciato a riflettere sulle forme del pregare. Ci siamo resi conto che nelle nostre esperienze la preghiera orale è presente quasi solo nei momenti in cui ci raccogliamo qui, nella comunità, intorno alle mensa comune; quella mentale – di meditazione e ricerca – è presente siaindividualmente sia e soprattuttonegli incontri del gruppo e nelle riunioni in comunità; quella interiore – di silenzio e di vuoto - è praticataindividualmente. “Porsi alla presenza di Dio”, come si diceva una volta, il sentirsiinsieme a lui è facilitato dall’avvertirci - se e quando ci riusciamo -parte della natura, inseriti/e nel flusso della vita. Quando cioè, per dirla ancora con Panikkar, non ci consideriamo “soltanto un macchinaun po’ più sofisticata di quello che Descartes ha descritto,…..che prende pillole per restaurare le sue funzioni” … .quando non riduciamo “ il mangiare a un’assunzionedi proteine”ma lo consideriamo “un atto di comunione con il sacro”in quanto “il sacro è il reale” di cuifacciamo parte. Un sacro che non è altro da noi, non ci trascende, non incombe, ma, essendointrinseco alla natura di cui siamo parte,ci appartiene.
Proveremo aproseguire il nostro cammino di ricerca insieme e a tutte e tutti voi, partire da questo momentaneo approdo,nella consapevolezza che il percorso che abbiamo intrapreso sarà tuttaltro che facile.
Preghiere
Considero valore
di Erri de Luca
Considero valore ogni forma di vita,
la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto,
un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato,
due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente,
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua,
riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo,
la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare
e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
Opera sull'acqua e altre poesie, Einaudi (2002)
Preghiera: senso e forma
Il senso:
comunicazione con e verso qualcuno
proiettare fuori di noivolontà e desideri, e la speranza che si realizzino
preghiera interiore: personale, consapevole, mai eguale perché non vincolata da rituali
è soltanto nel silenzio infatti che possiamo incontrare i nostri suoni e le nostre parole, quelle che realmente ci appartengono e che possono guarirci da ogni cosa,
nel silenzio c’è comunicazione e le parole buone, vere, quelle che veramente sentiamo nel profondo emergere e farsiascoltare da un Dio “personale, immaginato, sentito, creduto e non prefabbricato”
comunque nelle opere dei saggi e dei mistici di tutte le culture emerge che imparare a dedicare uno spazio adeguato all’auto-ascolto nel silenzio è fondamentale per il percorso e la ricerca del significato della vita.
Un intervento "postumo" per e-mail:
di Fabiola Schneider
Celebrazione importante questa di oggi. Non sono intervenuta perché era veramente tardi e allora ho pensato di inviarvi la mia riflessione e la mia esperienza. La mia mamma, quando ero piccina, si sedeva sul mio letto e diceva con me le preghiere: il solito Padre nostro, l’Ave Maria, il Gloria e la preghiera all’Angelo custode. L’ultima mi piaceva tantissimo e il tutto era un bel rito per addormentarsi contenta. La mia mamma però mi ha anche insegnato che Dio mi amava come una figlia, molto di più di quello che mi amava lei e papà messi insieme, che era il massimo che potessi immaginare e mi consigliava sempre di parlare con Lui, che sarebbe stato il migliore amico che avessi potuto incontrare nella mia vita. Parlargli per raccontargli tutto. E’ stato sempre così. Per me questa è la preghiera: parlare con Lui. Oggi con una diversa maturità non gli domando più niente di materiale, come facevo prima, ma fiducia, serenità nonostante tutto, coraggio, amore e altre cose simili per me per chi mi sta vicino e per il mondo intero. Ma a questo Dio, che ho imparato a sentirmi vicino e non lassù, ho capito che non bisogna solo chiedere ma anche dare e forse ogni tanto arrabbiarsi quando c’è qualcosa che proprio non capiamo. Forse anche Lui ha bisogno di sentire che l’amiamo che capiamo la Sua costernazione davanti a questo mondo che si distrugge, a questi uomini che si odiano.. Non so che Dio è, non so mettergli delle etichette, ma credo che sia un Dio di Amore. Gesù ha cercato di insegnarcelo in tutte le maniere. 20 anni fa ho fatto un’esperienza particolare e molto intensa. Daniele, il nostro figlio maggiore che aveva 10 anni è stato molto male: abbiamo passato 6 mesi al Gemelli, 7 operazioni di cui alcune al cervello. Non sono mai stata capace di chiedere a Dio di salvarlo (perché mio figlio si e il bimbo del letto accanto no?) ma gli ho chiesto di farmi sentire la sua presenza, il suo amore, gli ho chiesto di coccolarmi e mai come in quel periodo mi sono sentita amata e se oso dire, coccolata. Sì, nonostante tutto amata e coccolata. Da questo punto di vista è stato un periodo irripetibile. Daniele, meno male, ne è venuto fuori bene e Stefano ed io siamo abbiamo imparato molte cose