Roma - Comunità di San Paolo - Eucarestia del 5 marzo 2006
tema: fedi e religioni
Quando vi riunite ognuno può cantare, o dare un insegnamento, o trasmettere una rivelazione, o parlare in una lingua sconosciuta e interpretare quella lingua. Ebbene tutto questo abbia lo scopo di far crescere la comunità.
(prima lettera ai Corinzi 14, 26)
Letture
Da Ernesto Balducci “In nome dell’uomo” capitolo “Per un cristianesimo non religioso” pag. 59
Solo oggi siamo costretti a chiederci se la figura storica che chiamiamo cristianesimo non sia in procinto di doversi riconoscere come provvisoria, alla par di tutte le figure storiche a cui ha dato la vita l’umanità nel suo lungo cammino. Di più: siamo nelle condizioni di doverci domandare, senza provare e senza provocare scandalo, se il nesso tra evento cristiano e religione non stia ormai per disciogliersi….. La croce “è il dato veramente irreligioso della fede cristiana”, il segno incancellabile della estraneità della fede cristiana ai sistemi culturali e religiosi.
Da vangelo di Marco 7, 1-8
I farisei e alcuni maestri della legge venuti da Gerusalemme si radunarono attorno a Gesù. Essi notarono che alcuni dei suoi discepoli mangiavano con mani impure, cioè senza averle lavate secondo l’uso religioso.
Bisogna sapere che i farisei e in genere tutti gli Ebrei rispettano la tradizione degli antichi: così non mangiano se prima non hanno fatto il rito di purificarsi le mani.; e anche quando tornano dal mercato, non mangiano se non si sono purificati. Ci sono anche molte altre cose che essi hanno imparato a osservare: ad esempio, purificano i bicchieri, le stoviglie, i recipienti di rame e i letti.
I farisei e i maestri della legge, dunque, chiesero a Gesù:
- Perché i tuoi discepoli non obbediscono alla tradizione religiosa dei nostri padri e mangiano con mani impure?
Gesù rispose loro:
- Il profeta Isaia aveva ragione quando parlava di voi. Voi siete degli ipocriti, come è scritto nel suo libro:
Questo popolo – dice il Signore – mi onora a parole,
ma il suo cuore è molto lontano da me.
Il modo con cui mi onorano non ha valore
perché insegnano come dottrina di Dio
comandamenti che sono fatti da uomini.
Voi lasciate da parte i comandamenti di Dio per poter conservare la tradizione degli uomini.
Da vangelo di Luca 11, 37-42
Quando Gesù ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo a casa sua. Gesù andò e si mise a tavola. Quel fariseo vide che Gesù non aveva fatto la purificazione delle mani che era d’uso e se ne meravigliò.
Allora il Signore gli disse: “Voi farisei vi preoccupate di pulire la parte esterna del bicchiere e del piatto, ma all’interno siete pieni di furti e cattiverie.
“Stolti! Dio non ha forse creato l’esterno e l’interno dell’uomo? Ebbene, se volete che tutto sia puro per voi, date in elemosina ai poveri quel che si trova nei vostri piatti.
“Guai a voi, farisei, che offrite al tempio persino la decima parte delle piante aromatiche, come la menta e la ruta, e perfino di tutti gli ortaggi, ma poi trascurate la giustizia e l’amore di Dio. Queste sono le cose da fare, senza trascurare le altre.
Introduzione al tema
Esiste un filo di continuità tra le riflessioni che il nostro gruppo ha iniziato a condurre a partire dalle motivazioni con cui la sentenza della Corte Costituzionale legittimava la presenza del crocefisso nei locali delle sedi istituzionali e quelle svolte dal gruppo che ha preparato l’eucarestia domenica scorsa.
La scelta delle letture che vi abbiamo proposto indica che vogliamo continuare quella ricerca.
Ernesto Balducci ha il coraggio di scandalizzarci e afferma che “il cristianesimo in quanto religione è in crisi irreversibile. Le espressioni simboliche, le tradizioni etiche, la visione del mondo incorporate nel cristianesimo sono proprie di un’isola di storia – l’Occidente – che solo in questi tempi si sta accorgendo di essere tale”.
Il vangelo di Marco, che corrisponde ad un analogo passo di Matteo ci riporta, con lo stile tipico di chi si rivolge a cristiani non ebrei, alla dialettica del puro e dell’impuro e la considerazione del versetto 9, messa in bocca a Gesù, suona come un epitaffio per tante nostre pratiche religiose: “Siete molto abili quando volete mettere da parte i comandamenti di Dio per difendere la vostra tradizione.”
E Luca precisa al versetto 46 dello stesso capitolo cheabbiamo letto: “Sì, parlo anche a voi, maestri della legge!”
L’approdo ad una fede come ricerca nella precarietà della storia, ad una fede che, per noi creature, non può che essere relativa, cozza allora contro il concetto di ”depositum fidei” e, più ancora, con una fede che si fa religione di certezze tanto da connotare di sé una civiltà e una nazione o, per molti, addirittura un continente e le sue cosiddette radici.
Forse la religione potrà ancora affascinare con i suoi “valori” tanti laici-devoti, (come il presidente del nostro Senato Pera) tutti prostrati al fascino dei riti e dei miti cosiddetti universali, conservati dalle istituzioni e dai loro sacerdoti.
Ma ci chiediamo quanto sia in grado di rispondere alle inquietudini e ai bisogni degli uominie delle donne del terzo millennio, alla domanda di giustizia e di uguaglianza che confina l’occidente in un fortino assediato.
Noi pensiamo che Dio tocchi ciascuno degli esseri umani con una irripetibilità singolare che ha origine nella libertà e nella coscienza individuale.
Noi pensiamo che essere comunità è condividere con l’altro questa esperienza giacché quella di ognuno è certo limitata.
Per dirla con altre parole, molte parzialità si avvicinano all’infinito più di una dottrina assoluta e totalizzante.
Quando diciamo che la rivelazione continua è perché noi siamo chiamati a renderla visibile nella storia accostandoci come Gesù ai fratelli, anche a quelli più lontani, con tremore e rispetto, come Mosé col roveto ardente, giacché in ognuno di loro c’è una scintilla del divino.
Il mistero di Dio con lui è ciò che determina la mia curiosità, la mia vicinanza, il mio rispetto: per questo il diavolo islamico è mio fratello e tanti cristiani battezzati sono solo profeti dell’ordine costituito, appartengono ad una setta che evoca il sacrificio come necessario, ieri quello del Figlio di Dio, oggi, ad esempio, quello delle donne nella pratica dell’aborto.
Anche sul piano del linguaggio dobbiamo fare una riflessione: gli articoli da usare sono quelli indeterminativi un, una fede e non quelli determinativi, la fede; il singolare deve cedere il posto al plurale: fedi e non la fede.
Dice Filippo Gentiloni nell’ultimo numero di Confronti: “La storia dei monoteismi, quale più quale meno, è una storia di lotta alle eresie, di emarginazione, a dir poco, dei dissidenti amici del plurale. Eppure non è stata così semplice la storia cristiana. Basti ricordare un capitolo troppo spesso dimenticato, la Trinità……..Si è trattato di un grande tentativo di inserimento del plurale nel monoteismo…non soltanto di inserire il plurale nel singolare, ma di sostituire la sostanza con la relazione.”
E proprio la relazione, il rapporto genera la comprensione dell’altro, e, attraverso questo, la possibilità dell’entrare in sintonia con quell’Altro che non è l’infinitamente estraneo ma solo, forse, il più intensamente umano.
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