Laici e cattolici

Su: “laici e cattolici/laici o cattolici”, tornano – periodicamente – accesi confronti.

Vorrei, quindi, provare ad approfondire soltanto alcuni aspetti, che stanno ( o dovrebbero stare) alla base o al fondo di questi ritornanti “dialoghi italiani”.

Proverò a rispondere ad alcune domande, nel tentativo di ricostruire il massimo della coerenza e della trasparenza dei diversi (e persino contrapposti) approcci.
Onde evitare che quell’unico lettore (il più paziente e, forse, temerario) che avrà avuto l’ardire di leggermi si possa irritare, come se chi scrive volesse fargli una lezioncina, diciamo che le domande sono rivolte a me stesso, nel tentativo di districarmi in questa sovrabbondanza di “dialogo” e di fronte ad altisonanti nomi e personaggi della politica, del giornalismo, ecc.

La prima domanda: “in che cosa crede chi si dice cristiano”?

Ho imparato, da giovane, che l’essenza del cristianesimo è una persona e non una dottrina. Le citazioni a tale proposito possono essere innumerevoli, dai vangeli o dai teologi.
“Avete udito che fu detto…Ma io vi dico!”. “Filippo,..chi vede me, vede il Padre”. “Dove due o più si riuniscono nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”.
Si potrebbe continuare a lungo. Tanti anni or sono, nel 1949, un grande teologo: Romano Guardini ( che gli illustri protagonisti di questo intenso dibattito sulle radici della identità europea, certamente conoscono) scrisse un libricino intitolato:”L’essenza del cristianesimo” (..l’assonanza era voluta: nel 1941 Feuerbach aveva pubblicato: L’essenza del cristianesimo; e prima ancora, nel 1907, Adolf von Harnack, aveva scritto un testo con lo stesso titolo!).
Dunque, Guardini scrive:” Il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito (…e qui i grandi filosofi convertiti recentemente e con evidente piacere e tornaconto alla politica-potere si aspetteranno sicuramente una bella, forte, efficace definizione..) da Gesù di Nazareth”.

La sostanza è tutta qui: nella sua “pericolosa” fragilità!

(Domando-tra parentesi: si può mettere Gesù di Nazareth in una Costituzione?).

Tutto il resto (e so bene che non è poca cosa: la filosofia, la cultura, l’arte, la teologia, la storiografia,ecc.) è una legittima, a volte interessante a volte meno, produzione delle intelligenze degli uomini e delle donne del tempo e dei tempi. Fatta in suo nome? Anche; non esclusivamente! E mentre, contemporaneamente, sempre facendo riferimento al suo nome,( scritto persino sulle armi di distruzione e di morte) venivano negate la sostanza e le forme del suo messaggio.

(Chiedo- ancora tra parentesi: si può aggiungere, vicino al riferimento alle radici cristiane, anche quello relativo ai corposissimi tradimenti-sradicamenti dei valori cristiani, realizzati copiosamente nelle terre che via via componevano l’Europa “cristiana” e/o che da quelle terre venivano esportati, con dolori e sofferenze spesso atroci ? No? Non si può? Non “sarebbe costituzionale? E allora, umilmente e onestamente, ci si astenga dal rivendicare alcunché).

Ma torniamo alla fragile essenza del cristianesimo: una persona.
La “fede cristiana” è questa; e non le filosofie “conseguenti” e/o “derivate”. E’ cosa che tecnicamente i teologici dicono (per ben qualificarla): gratuita. Che (tecnicamente) significa: gratis data. Ma (e conseguentemente) anche che: tu, io, altri, pochi, molti, ieri, oggi, domani, possono affermare che non gli “serve”; che pur essendo una cosa bella e rispettabile, a lui risulta ininfluente e che il mondo( la storia, la scienza, la tecnologia,ecc.) può continuare a funzionare (bene, meno bene, male, malissimo) ugualmente. Ecco: la fede in Gesù di Nazareth ha questa connotazione essenziale: la sua gratuità. Per questo motivo, quantunque, per me credente e seguace, Gesù di Nazareth sia (è) tutto, questo tutto non si trasforma mai in una macchina integralistica e totalitaria. “Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo, etsi Deus non daretur. Proprio questo riconosciamo- al cospetto di Dio! Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza Dio”. Così scriveva, nelle carceri naziste dello Stato ( che faceva portare ai propri soldati la scritta Gott mit uns), alla vigilia della sua impiccagione ad opera dello Stato (legittimo!), il teologo, pastore Dietrich Bonhoeffer. (Lo scriveva in tedesco, all’amico soldato dell’esercito tedesco occupante in Italia; qualche politico-filosofo della odierna stagione politica italiana che conosce anche quella lingua potrà avere -e credo lo abbia già fatto…con non buoni risultati- anche il vantaggio di leggerlo nella lingua originaria)
Si può mettere nella costituzione qualcosa che precisi – lo chiedo ed esigo in quanto credente in Gesù di Nazareth - questa sostanziale distinzione tra la fede in Gesù e la cultura (intendendo qui un insieme di prassi, teorie, costumi: anche dei cristiani) che, dopo Costantino e Teodosio, ha sostituito la precedente: perché non poteva essere diversamente, essendo stata, quella fede, fatta religione di stato? Se non ci fosse stato quell’atto politico-statuale ( che dalla lettura dei vangeli e delle lettere di Paolo non risulta fosse nell’agenda religiosa o politica –tanto meno nella fede- della comunità di Gesù) quale configurazione teorica (la teologia) e pratica (i rapporti storici dei “cristiani” – uso le virgolette perché, come è noto questo aggettivo non si riscontra mai in Paolo – con il mondo circostante) avrebbe assunto il cristianesimo? Non lo sappiamo. Quando parliamo di “radici”, dunque, cosa si vuole dire, in termini teologici? E che cosa si può dire!? Nulla. E tutto ciò che si può dire appartiene ad un altro ordine: quello culturale. E questo è ovviamente oggetto di una valutazione politica (pratica). Legittimamente, valgono le maggioranze politiche.

Non c’è, quindi, nessun attacco anticristiano in corso in Europa!

Proverò ora a rispondere ad un secondo interrogativo: “in cosa crede chi non crede”?

Era questo il titolo di un libricino, circolato qualche anno fa, in cui si raccoglieva un epistolario tra Carlo Maria Martini e Umberto Eco; con interventi di altri importanti protagonisti della cultura italiana.

Martini centra il cuore del problema, interrogandosi, ed interrogando il suo interlocutore, sul “fondamento ultimo dell’etica di un laico”. Siamo, in effetti, al cuore della “questione laica”. Afferma, Martini: “ è chiaro e ovvio che anche un’etica laica può trovare e riconoscere di fatto norme e valori validi per una retta convivenza umana; e così che di fatto nascono molte legislazioni moderne”.
Dico, subito, che egli, poi, si interroga anche “sulla insufficienza di una fondazione puramente umanistica” e sottolinea come “tutte le religioni pongono, sia pure con modalità diverse, un Mistero trascendente come fondamento di un agire morale”. Contemporaneamente riconosce: “mi ha molto interessato la ragione con cui alcuni fondano il dovere della prossimità e della solidarietà anche senza ricorrere a un Dio Padre e Creatore di tutti e a Gesù Cristo nostro fratello. Mi pare si esprimano più o meno così: l’altro è in noi. E’ in noi, a prescindere da come lo trattiamo , dal fatto che lo amiamo o lo odiamo o ci è indifferente”.

Questo ( e lo dico con profondo rispetto, non tanto per l’autorevolezza della persona, ma per la drammaticità del conflitto interiore – intellettuale, spirituale, morale- che non può non animare ogni credente) è il problema perenne di un onesto cristiano/cattolico: un oscillare tra il riconoscimento del “valore autonomo” del pensiero umano e la consapevolezza del suo limite “intra-mondano”.

Umberto Eco, nella risposta, parla della sua “religiosità laica”. “Fermamente ritengo- scrive- che ci siano forme di religiosità , e dunque senso del sacro, del limite, della comunione che ci supera , anche in assenza della fede in una divinità personale e provvidente”.

Ia sottolineatura è mia. E mi è utile, in quanto mi ricollega alla prima domanda ( e alla mia risposta ad essa): in che cosa crede chi si dice cristiano?
E mi ci ricollego richiamando la specificità e la “fragilità” di quella fede non in una dottrina o in una metafisica, bensì in una persona. Si ricorderà la sottolineatura: una fede “gratuita”.

Lo sforzo che tutti: credenti e non credenti devono fare –costantemente- è questo: essere dotati di senso ( di trascendenza), sicut Deus ( e anche deus) non daretur.

Che sia un (il) compito del cristiano, dovrebbe essere coerentemente acquisito dai Vangeli (e già Paolo va, “legittimamente”, oltre: confrontandosi con l’ellenismo e volendo con tutte le sue forze -egli ebreo e fariseo- disancorare Gesù di Nazareth dall’ebraismo, di cui era stato figlio, fino in fondo: e anche di questo gli siamo grati; la sua incarnazione-storicizzazione non è stato una finzione).

Ma perché anche i non credenti? Per contrastare quella che Habermas chiama la secolarizzazione “distruttiva e sradicante”della modernità. Questo è oggi un grande compito laico.
Ed è anche il compito laico del credente.

Forse, a questo punto, può risultare utile richiamare un po’ di “dizionario”.
Laos, in qualunque vocabolario di greco antico, viene tradotto con popolo, moltitudine. Nella bibbia greca designa il popolo di Dio. L’opposto è iereus: chierico. Sulla recente (concilio Vaticano II) teologia del popolo di Dio (intesa coma autenticamente e senza alcuna mediazione, Chiesa) i cattolici dovrebbero essere consapevoli e istruiti.
E’ stata una conquista, faticosa e non ancora tranquillamente acquisita.
Ma almeno dovrebbe essere chiaro che il credente può essere un “autentico” laico; anzi lo è per definizione (nel senso che non è un chierico).

Può capitare anche che il non credente smetta di essere laico? Certamente.
E’ il caso (oggi molto frequente) in cui egli si atteggia a chierico della religiosità senza dio (o Dio). Avviene quando egli non concepisce e non vive la sua ricerca nella storia con il senso del limite. E avviene anche quando, per una sorta di contrappasso allo “straniamento” della modernità, si ricorre alla protezione di un nume tutelare. E non potendolo individuare in una libera e fragile adesione ad un Dio persona (in quanto legittimamente non è credente e anche perché, tutto sommato, il Dio di Gesù ti lascia nella tua “autonoma” insicurezza), si costruisce un neo-protezionismo filosofico-teologico. Appunto: un neo-cattolicesimo ( nelle culture anglosassoni- soprattutto nella versione nord americana- anche neo-cristianesimo) senza Dio.

Da ultimo, un accenno al mestiere dei politici.
Non sto a sottolineare la mia delusione – crescente via via che sono avanzato negli anni- di fronte ai praticanti questo mestiere.
Prendo, al volo, l’ultima citazione; è di qualche settimana, 21 gennaio. Boston: la signora Hillary Clinton, in un discorso davanti ad una importante organizzazione religiosa, il cui leader, una volta democratico, ha alle ultime elezioni, sostenuto Bush, dichiara: “Non c’è contraddizione tra il sostegno alle iniziative basate sulla fede e il rispetto dei nostri principi costituzionali. E’ la fede che ci fa credere nei principi , che ci dà la motivazione e forza nella nostra azione”. Proviamo ad esaminare questa, apparentemente innocua, affermazione. E’ sufficiente rovesciare la sua assertività: “Chi non ha fede, non può credere nei principi; non può avere la motivazione e la forza per la nostra azione”. C’è qualcuno che se la sente di condividere una opinione del genere? Forse, attraverso il percorso ( molto modesto) sopra fatto, si può comprendere se e perché ci può essere chi condivide anche affermazioni del genere. E in quale errore egli sia caduto.
..Ma noi – ammaestrati dalla lezione giovannea (Giovanni XXIII)- sappiamo distinguere molto bene l’errore dall’errante.
Stia, pertanto, tranquillo Buttiglione. E anche Pera. Noi li “giudicheremo” soltanto sul versante delle loro performances filosofiche e politiche. E saremo legittimamente, severi.

Mario Campli

 

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