COMUNITÀ DI
SAN PAOLO
CONTRO IL TERRORISMO E CONTRO
LA GUERRA IN AFGHANISTAN
Anche noi - comunità
cristiana di base di San Paolo in Roma - che abbiamo assunto come impegno di
fede una scelta di vita in comunione con tutte le “diversità” umane, di cui
ognuno e tutti siamo parte, noi non possiamo tirarci indietro - sul piano della
consapevolezza e della riflessione - di fronte a una situazione mondiale
sconvolta da quella cultura di violenza e di morte che sempre ha segnato i
percorsi della storia, ma che oggi ci appare nuova e diversa, forse perché ci
tira fuori dalla certezze di un’effimera pace di cui godeva solo uno spicchio
del nostro pianeta, quello ricco e potente del nord, di cui anche noi facciamo
parte. Sentiamo che dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre contro New
York e Washington, e dopo la risposta militare statunitense contro
l’Afghanistan dei talebani, d’ora in poi nulla sarà più come prima.
Noi pensiamo che il mondo non di
questo ha bisogno. Il mondo, fragile e diviso, ha bisogno invece di un nuovo e
diverso assetto, di un altro ‘ordine’. Non può più aspettare. Il trauma della
tragedia statunitense va condiviso. Nessun giustificazionismo storico o
ideologico può velare o trasferire ‘altrove’ quella realtà. Ma vanno condivisi
anche altri drammi.
Migliaia di newyorchesi,
centinaia di migliaia di bambini iracheni e palestinesi, un numero
incalcolabile di afghani di tutte le età non possono essere umiliati sulla
bilancia del conteggio per misurare infamia e responsabilità. Il mondo è malato
e sarà malato finché una sola creatura
sulla terra non avrà integro e rispettato il suo pezzo di vita.
Condanniamo, senza
ambiguità, ogni forma di terrore; condanniamo i Bin Laden che offendono Dio e
lo uccidono, usando la fede come odio e le sue creature come bombe e vittime sacrificali.
Ma condanniamo altresì la guerra, come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali. Dopo migliaia di anni di esperienza, l'homo sapiens dovrebbe
saper cancellare dal suo codice civile ed etico l'idea stessa della guerra,
come aliena dalla ragione.
Pensata come limitato intervento “chirurgico” per
uccidere nella sua culla il terrorismo, la guerra in atto ormai da un mese
contro l’Afghanistan talebano, in realtà sta strangolando un intero popolo,
provocando milioni di rifugiati e sfollati con gli immensi drammi umani che
tutto questo comporta, arrecando insopportabili “danni collaterali” alla
popolazione innocente e perfino a istituzioni di aiuto internazionale, dando
nuovo alimento al fuoco del terrorismo che si voleva invece spegnere e
innescando nuovi possibili scontri militari e conflitti etnici in un’area
geopolitica già così gravata da molte minacce.
Per questa ragione, come
cristiani critichiamo gli ondeggiamenti diplomatici del Vaticano che, dopo aver
giustamente condannato gli atti terroristici, non sa dire una parola chiara,
esplicita e solenne contro la micidiale guerra voluta dagli Stati Uniti
d'America in Afghanistan, anzi si dimostra diviso sul giudizio negativo
espresso dal Papa stesso.
Certo, siamo ben consapevoli
della complessità della situazione. La ragione quasi si blocca di fronte a un
problema denso di paure e pericoli, esposto all'ideologizzazione, tarlo maligno
dell'ideologia, in quanto tende a piegare la realtà a dire ciò che si vuole
essa dica. Ma noi non rinunciamo
a perseguire l'obiettivo della pace.
La nostra mente va in particolare al Medio Oriente,
dove la soluzione immediata di un problema locale darebbe respiro a tutto
l'Islam e al mondo intero: la costituzione di uno stato palestinese, accanto
allo stato israeliano, due popoli, due stati, con Gerusalemme città condivisa.
La soluzione del conflitto israelo-palestinese permetterebbe di togliere a Bin
Laden questa bandiera, che egli ha preso in mano strumentalmente, e dunque non
certo per aiutare i palestinesi, ma per tentare di coprire, con una ragione
etico-religiosa, i suoi propri interessi politico-economici e la sua distorta
visione dell'Islam.
Ma anche un'altra bandiera
potremmo strappare a colui che si è autoeletto paladino della libertà e
sacralità del suolo dell'Arabia Saudita: e ciò sarebbe possibile con il ritiro
dei 20 mila soldati statunitensi che presidiano il petrolio arabo, immagine
tangibile che è il guardiano del mondo a disporre delle ricchezze comuni, a
qualsiasi latitudine.
Risolvere il problema
palestinese e del petrolio taglierebbe alla radice arroganza e orgoglio
nazionalistico da una parte, rabbia, disperazione e esasperazione dall'altra, portando i termini di un contendere
nell'ambito giuridico proprio della legalità internazionale.
Ma al di là dell'emergenza e della contingenza, che
potrebbero incancrenirsi in situazioni protratte sul filo dell'insicurezza,
della paura, a colpi di bombe, di missili, di stragi batteriologiche o
addirittura nucleari, appena stemperate da esibizioni militari trionfalistiche,
di cui i mass media non sono avari con la solita retorica del bene che vince il
male, al di là di tutto questo, come pensare alla costruzione di una pace nuova
e diversa su cui rimodellare il mondo: la pace che Aldo Capitini vagheggiava,
inventando la marcia Perugia-Assisi?
Forse un punto sicuro di
partenza c'è: un cambiamento di mentalità,
una conversione totale del nostro modo di situarci nel mondo, la
‘metànoia’, la ‘conversione’ appunto che veniva proposta ai primi cristiani.
Dunque una nuova
mentalità, che sostenga una cultura povera e compassionevole. Cultura ‘povera’,
non in senso regressivo, con ritorni e rigurgiti nostalgici, ma liberata dal
pregiudizio, dalla tentazione, dalla presunzione del ‘primato’, primato di
verità e di religione, primato di civiltà, primato di potenza; cultura
‘compassionevole’, non nel senso caritatevole e tollerante, dove c'è chi
tollera e chi è tollerato, ma coinvolta nel patire, tutti insieme, la
condizione umana con l'impegno di migliorarla per tutti e di aiutare tutti a
migliorarsi. È una compassione soprattutto rivolta alla condizione femminile,
così straziata in tante parti del mondo da un’egemonia maschile che trae forza
da un presunto volere divino, lo stesso, invocato in modo blasfemo, per
chiamare alla guerra santa i poveri,
invece di aiutarli a migliorare, dove
possibile, la loro posizione, ben sapendo che l’emancipazione
toglie armi allo sfuttamento.
Una nuova mentalità che
sappia distinguere tra sviluppo e progresso, che sappia trarre dalla scienza,
campo ardito della conoscenza, il Bene, campo sapiente della saggezza.
Una nuova mentalità che
capovolga il senso oggi corrente della mondializzazione: non già omologazione
sugli standards delle società tecnologicamente evolute, ma «effusione» -
novella Pentecoste - di genti, di lingue, di culture, di religioni, che si
comprendono nel rispetto reciproco, nella ‘simpatia’ dell'incontro, del
dialogo, nell'umiltà che rende tutti
uguali nella diversità.
Dopo quanto sopra espresso, ci pare superfluo
ribadire il nostro totale disaccordo sul
coinvolgimento
militare dell’Italia nella guerra in corso.
Roma, 6 novembre 2001
Comunità di San Paolo.