Lo
spazio “esterno” come ricchezza comune Filippo
Graziani
Professore Ordinario presso la Scuola di Ingegneria Aerospaziale e la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Roma ‘La
Sapienza’ Sintesi La “Dichiarazione dei principi
legali governanti le attività degli stati nell’esplorazione e
nell’uso dello spazio esterno” adottata il 13 dicembre 1963 indica
che lo spazio esterno è patrimonio dell’umanità: “ogni Stato ha
assoluta libertà di movimento, e nessuno può dichiarare la propria
sovranità su parti di esso”. I
satelliti artificiali e le piattaforme spaziali si muovono nello
spazio e non sono soggetti ad alcuna regolamentazione. Ma se questa
assenza di regole non creò inconvenienti all’inizio dell’era
spaziale (1957) quando i satelliti erano di numero molto ridotto, ora
non si può fare a meno di una normativa che regoli l’uso dello
spazio. Le principali applicazioni commerciali dei satelliti sono
quelle concernenti le telecomunicazioni, il telerilevamento, la navigazione e la localizzazione di aerei, navi,
automobili, satelliti e spedizioni di esplorazione, ed anche tutte
quelle attività che possono essere condotte sulla stazione spaziale
dove l’ambiente microgravitazionale consente la produzione di
cristalli e farmaci innovativi. Il tema del turismo spaziale è poi
molto più attuale di quanto normalmente si pensi. Nelle telecomunicazioni il principale limite tecnico è costituito dalla disponibilità di frequenze e di posizioni orbitali; nel telerilevamento esiste la questione della proprietà delle immagini e della privacy. Per le posizioni orbitali è stato necessario adottare regole atte a limitare l’affollamento dell’orbita geostazionaria, che è la più ambita per le telecomunicazioni. La relativa vicinanza dei satelliti causerebbe interferenze nelle comunicazioni e problemi di collisione tra satelliti vicini. Per le frequenze di uso comune rimane la regola “first-come, first-served”, mentre per le bande di frequenza in “espansione” tutte le nazioni possono ottenere posizioni e canali di frequenza. I problemi di affollamento dell’orbita geostazionaria discendono dalle peculiarità di tale orbita ma non si può escludere che in futuro anche altre fasce di quota (in orbita bassa, LEO) diventino inutilizzabili a causa dell’inquinamento spaziale. In tal caso, attriti potrebbero sorgere tra i paesi che solo ora si avvicinano allo spazio e quelli che sinora lo hanno utilizzato inquinandolo, precludendone a tutti l’uso in futuro. Per spazio esterno
(outer space) si intende lo spazio extra-atmosferico cioè
quella porzione compresa fra lo spazio aereo e lo spazio profondo (deep
space). Mentre quest’ultimo può essere definito come lo spazio
esterno alla sfera di influenza della Terra (cioè la sfera di circa 1
milione di km di raggio ove l’attrazione gravitazionale della Terra
è superiore a quella dovuta al Sole), il confine tra spazio aereo e
spazio extra-atmosferico non è ben identificabile, perché
l’atmosfera terrestre non ha un termine ben stabilito. La “Dichiarazione
dei principi legali governanti le attività degli stati
nell’esplorazione e nell’uso dello spazio esterno” (risoluzione
1962 della 18a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
adottata il 13 dicembre 1963) indica che lo spazio esterno è
patrimonio dell’umanità: “ogni Stato ha assoluta libertà di
movimento, e nessuno può dichiarare la propria sovranità su parti di
esso”. I satelliti
artificiali e le piattaforme spaziali si muovono nello spazio e non
sono quindi soggetti ad alcuna regolamentazione. Ma se questa assenza
di regole non creò certo inconvenienti all’inizio dell’era
spaziale (1957) quando i satelliti erano di numero molto ridotto, ora
non si può fare a meno di una normativa che regoli l’uso dello
spazio. Esistono dei limiti all’utilizzo dello spazio esterno? Esaminiamo
alcuni casi di satelliti per applicazioni commerciali. Le principali
applicazioni commerciali sono quelle concernenti le telecomunicazioni
(telefonia
fissa e mobile, telediffusione, trasmissione dati), il telerilevamento
(immagini dallo spazio, meteo), la navigazione e la localizzazione di
aerei, navi, automobili, satelliti e spedizioni di esplorazione, ed
anche tutte le attività che possono essere sviluppate sulla stazione
spaziale dove l’ambiente microgravitazionale consente la produzione
di cristalli e farmaci innovativi. E’ molto attuale, anche se al
momento potrebbe sembrare avveniristico, l’attività turistica nello
spazio e cioè la possibilità di viaggi spaziali (turismo spaziale). Nelle telecomunicazioni il principale limite tecnico è costituito dalla
disponibilità di frequenze e di posizioni orbitali; nel
telerilevamento esiste la questione della proprietà delle immagini e
della privacy. Per quanto riguarda il limite nell’uso delle frequenze l’International
Telecommunication Union (ITU) stabilisce il tipo di uso cui sono
destinate in tutto il mondo le diverse bande di frequenza, ad esempio
alcune lunghezze d’onda sono destinate alla radiolocalizzazione
(radar), altre alle comunicazioni. Per le posizioni
orbitali si
è reso necessario adottare regole atte a limitare l’affollamento
dell’orbita geostazionaria che è la più ambita per le
telecomunicazioni. La relativa vicinanza dei satelliti causerebbe non
soltanto interferenze nelle comunicazioni ma anche problemi di
collisioni fra satelliti vicini. A
tal fine nelle comunicazioni, si è stabilito che non si possa porre
in orbita geostazionaria (GEO) un satellite ad una distanza angolare
minore di 2° da un altro preesistente ed operante nelle stesse
frequenze. Questa separazione può consentire anche di evitare
collisioni. La ITU si fa carico di registrare i satelliti, le loro
posizioni e le frequenze di comunicazione. Vale il principio
“first-come, first-served” (“prior in tempore, potior in
iure”), condizionando così chi fosse successivamente interessato. Nella “Dichiarazione del primo meeting dei paesi equatoriali” (1976), l’orbita geostazionaria è considerata una “risorsa naturale”. Si è affermato che “i segmenti dell’orbita geostazionaria sono parte del territorio sul quale gli stati equatoriali esercitano la loro sovranità nazionale”. Negli anni ’80 e ’90 si è raggiunto un compromesso: per le frequenze di uso comune rimane la regola “first-come, first-served”, mentre per le bande di frequenza in “espansione” tutte le nazioni possono ottenere posizioni e canali di frequenza. I problemi di affollamento dell’orbita geostazionaria discendono dalle
peculiarità di tale orbita ma non si può escludere che in futuro
anche altre fasce di quota (in orbita bassa, LEO) diventino
inutilizzabili a causa dell’inquinamento spaziale (detriti
spaziali). In tal caso, attriti potrebbero sorgere tra i paesi che solo ora si avvicinano allo spazio e quelli che sinora lo hanno utilizzato inquinandolo, precludendone a tutti l’uso in futuro. Per quanto riguarda
il
“remote sensing” e la
questione della proprietà delle immagini riprese dallo spazio e della
privacy la legislazione internazionale non fornisce indicazioni
chiare. L’attività di ripresa dallo spazio di immagini, ed in generale di
“dati”, riguardanti il sottosuolo, la superficie e l’atmosfera
della Terra (remote sensing)
è di interesse commerciale, sotto diversi punti di vista: dalla
vendita delle foto (ad altissima risoluzione) di porzioni della
superficie terrestre alla mappatura delle risorse del sottosuolo e
dello stato dell’atmosfera in diverse zone della Terra. Ma si giunge così alla contraddizione che mentre in alcune zone del
nostro pianeta vigono notevoli limitazioni sulla possibilità di
riprendere immagini fisse o in movimento (monumenti storici, parchi
naturali, ecc.), gli stessi soggetti, se fotografati dallo spazio, non
sono più sottoposti alle stesse regole di copyright. Eppure, con una risoluzione a terra di 1 m, si rivelano oggetti con
dimensione relativamente piccola: si distinguono le autovetture, si
rivela la presenza di gruppi di due o più persone, si riconoscono
edifici di forma caratteristica, etc. violando così qualsiasi forma
di privacy. Dal 1979 ad oggi, si sono susseguite numerose “convenzioni” o
“atti” alcuni dei quali ratificati dalle Nazioni Unite. Un
principio importante è quello dell’obbligo di rendere disponibili
(a pagamento, certo, ma a costi definiti “ragionevoli”) i dati
“non processati”, in pratica quelli su cui non c’è il valore
aggiunto del lavoro di elaborazione a terra. Gli Stati Uniti (“Land
Remote Sensing Policy Act”, 1992) riconoscono la loro leadership
nell’area del “remote
sensing” e si prodigano per mantenerla. Un principio importante, contenuto nella “Convention on the Transfer
and Use of Data of the Remote Sensing of the Earth from Outer Space”
(1979) sancisce che le immagini con risoluzione migliore di 50 m
possono essere distribuite (vendute) solo previa approvazione del
paese a cui appartengono le zone riprese. Tale principio è ovviamente
sparito dagli atti e risoluzioni successive che hanno sostituito,
abrogandola, la suddetta convenzione. Un
altro limite nell’uso dello spazio extra-atmosferico, è costituito
dal proliferare dell’inquinamento spaziale. Tale problema non è
sufficientemente valutato ma potrebbe portare ad una quasi totale
impossibilità di utilizzare lo spazio esterno qualora non si prendano
immediati provvedimenti. La maggiore causa di inquinamento spaziale è dovuta ai “detriti spaziali” (space debris) e cioè oggetti artificiali orbitanti attorno alla terra le cui origini sono diverse e numerose (satelliti non più operativi, parti di missili e lanciatori, oggetti rilasciati in orbita dai satelliti, frammenti di satelliti prodotti da collisioni, etc.). Tutti gli oggetti in orbita sono catalogati e seguiti via radar. Solo una piccola frazione (6%) è costituita dai satelliti operativi, gli altri sono tutti “detriti”. Le velocità di questi oggetti sono elevatissime, di conseguenza eventuali collisioni possono rivelarsi catastrofiche. Basti pensare che un detrito sferico di 1 cm di diametro che collide su una parete metallica piena ad una velocità simile a quella che si ha in orbita bassa, può provocare un cratere largo e profondo oltre 10 cm. Corpi di 1 cm provocano danni catastrofici in caso di impatto. Gli schermi necessari sono estremamente pesanti: usati solo per moduli abitati della stazione spaziale. Corpi di 1 mm provocano anch’essi danni catastrofici. Le superfici sensibili dei satelliti più costosi sono schermate contro tali impatti. Corpi submillimetrici e micrometrici possono deteriorare alcuni sottosistemi (ad es. le lenti degli strumenti ottici). Anche se le probabilità di collisioni pericolose non sono elevatissime;
tuttavia è già avvenuta una collisione tra un satellite operativo ed
un rottame di razzo. La situazione è destinata a peggiorare nel
futuro. E’ necessario
indicare dei rimedi perché nessuna norma esiste oggi a riguardo. E’ possibile spostare a fine vita i satelliti in un’“orbita
cimitero” dove non diano fastidio. Questa procedura è attualmente
seguita solo per l’orbita geostazionaria che è talmente affollata
da non consentire l’immissione di nuovi satelliti senza lo
spostamento dei precedenti. Per i satelliti bassi è possibile
azionare a fine vita dei dispositivi che ne accelerino il rientro in
atmosfera. Ma proprio il rientro, se non controllato, può costituire un serio
pericolo per le aree abitate. Ad esempio il 27 Aprile del 2000 sono caduti in Sud Africa rottami di un
lanciatore, non lontano da Città del Capo, da una centrale nucleare e
da una fabbrica di esplosivi! Questo non è stato un caso isolato, poiché frammenti molto simili sono
caduti in Texas. In entrambi i casi si tratta, con tutta probabilità
dei frammenti di un lanciatore americano Delta II.
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