L’imperialismo spaziale, chiave del New American Century

Lo spazio è l’elemento centrale nella strategia del primato di potenza

e nella prospettiva della Full Spectrum Dominance[1]

 

Gabriele Garibaldi

Giornalista

 

Sintesi

 

Nel gennaio 2001 Rumsfeld, neo-segretario alla Difesa degli Stati Uniti, annunciava pubblicamente le raccomandazioni della “Congressional Commission to Assess United States National Security Space Management and Organization” da lui presieduta:

“Sappiamo dalla storia che ogni elemento - aria, terra e mare - ha visto dei conflitti. […] La realtà indica che lo spazio non sarà differente. Data questa virtuale certezza, gli Usa devono sviluppare i mezzi sia di deterrenza che di difesa contro atti ostili nello e dallo spazio. Ciò richiederà superiori capacità spaziali […]. Gli Usa devono avere l’opzione di dispiegare armi nello spazio quale mezzo di deterrenza contro le minacce e, se necessario, di difesa contro attacchi ai propri interessi. [...] l’avere tale capacità darebbe agli Usa un deterrente molto più forte e, in un conflitto, uno straordinario vantaggio militare”

Rumsfeld ha sbloccato i piani volti alla weaponization dello spazio. Dopo l’11 settembre il National Missile Defense ed il Theater Missile Defense sono propinati dai maistream media all’opinione pubblica americana e mondiale come garanzie di sicurezza interna e di stabilità internazionale. Ma essi sono solo l’inizio di ulteriori piani di armamento spaziale, la cui funzione risponde piuttosto alla logica della Grand Strategy unipolarista nata subito dopo il crollo del muro di Berlino. Essa ha trovato la sua prima, fondamentale espressione nel mantenimento e rilancio della Nato in Europa, ed ha l’obiettivo di impedire il sorgere di una Potenza o coalizione di Potenze che sfidi la posizione statunitense di “lonely Superpower”, così da costruire un “new american century” unipolare e imperiale. Dal punto di vista militare essa si è tradotta in piani strategici il cui obiettivo è il rafforzamento del gap di potenza tra gli Usa ed i potenziali “peer competitors” (la Cina in prima linea). Lo spazio ha in tutto ciò un posto centrale e gli Usa sono pronti a mantenervi la propria leadership “negandone l’accesso agli altri, se necessario”.

Se per l’attuale amministrazione Bush conta principalmente la logica della forza unipolar-unilaterale (che si traduce in pratica nell’isolazionismo e nel rifiuto del diritto internazionale, come dimostrato in più occasioni dalla denuncia del trattato Abm, dal rifiuto della ratifica del protocollo di Kyoto e del trattato istitutivo del Tribunale Penale Internazionale, per finire con il ricorso strumentale e quindi l’umiliazione dell’Onu riguardo la guerra contro l’Iraq) per i pacifisti, invece, il diritto internazionale resta la legge che deve regolare i rapporti tra Stati: essi fanno notare - in modo lapalissiano - che i piani spaziali statunitensi si pongono al di fuori di esso, in primo luogo dell’“Outer Space Treaty” del 1967 che bandisce il dispiegamento di armi di distruzione di massa nello spazio. Il 20 novembre 2000 - date le dichiarazioni statunitensi che lo rifiutavano implicitamente - l’Assemblea Generale dell’Onu ha votato per riaffermare l’“Outer Space Treaty” e nello specifico la clausola che dispone l’uso dello spazio per “peaceful purposes”: 163 Paesi hanno votato a favore, gli Usa, accompagnati da Israele e Micronesia, si sono astenuti.

Lo sviluppo delle space capabilities

 I propositi che caratterizzano l’attuale amministrazione statunitense – e che prima di essa sono stati il filo rosso di tutte le amministrazioni degli anni ’90 - discendono dalla fiducia nella capacità di impedire la nascita di un nuovo competitore strategico nella “finestra di opportunità” di 10-20 anni, necessaria al ricostituirsi dell’equilibrio di potenza a livello sistemico. Essi hanno trovato una prima, fondamentale espressione nel mantenimento della Nato in Europa dopo la fine della “guerra fredda”, premessa geopolitica per una estensione del controllo al nucleo eurasiatico[2] e quindi alla Cina, attualmente il più accreditato tra i potenziali “peer competitor” degli Stati Uniti.

 Dopo il crollo del Muro di Berlino e dell’equilibrio bipolare, gli Stati Uniti, come risaputo, sono rimasti la “lonely superpower”[3] dello scenario internazionale. E’ una situazione anomala che ha messo in crisi la capacità esplicativa del più accreditato filone di studio delle relazioni internazionali, quello (neo)realista, in quanto ormai sono passati 14 anni ed ancora l’equilibrio di potenza (“balance of power”) non si è ricostituito. Per alcuni analisti americani questa tendenza è destinata a consolidarsi, ed è preferibile al ritorno a un ordine multipolare[4]; e i pianificatori militari hanno prodotto vari piani strategici tesi proprio al definitivo consolidamento dell’ordine unipolare.

 Agli autori di queste “unipolar illusions”[5] gli studiosi (neo)realisti ricordano che la teoria del “balance of power” - suffragata da secoli di storia delle relazioni internazionali - è inequivocabile circa le implicazioni dell’unipolarismo riguardo il comportamento degli altri Stati: la presenza di una unica Superpotenza stimolerà il sorgere di nuove grandi potenze, o di coalizioni di medie potenze, determinate a bilanciare lo Stato predominante (“in unipolar systems, states do indeed balance against the hegemon’s unchecked power”[6]). La questione non è quindi “se” ma “quando” il “balance” si realizzerà. La risposta di Layne è “fairly quickly”. Come K. Waltz[7], egli sostiene che l’unipolarismo sarà trasformato in multipolarismo dalla prima o seconda decade del XXI secolo.

 E’ interessante notare come questa previsione sia stata accolta nei documenti di programmazione militare come il limite temporale entro il quale consolidare la posizione degli Usa di unica Superpotenza e impedire l’ascesa di un “peer competitor”: i militari, ed i fautori dell’unipolarismo in generale, partono da una analisi realista della situazione internazionale per superarne la logica di base, impedendo la realizzazione delle sue previsioni. Tale Grand Strategy unipolar-imperiale non può che basarsi sulla ricerca di una capacità soverchiante di forza - mezzo di “benevola” protezione degli alleati e strumento di deterrenza per chi la voglia sfidare[8] -, in sostanza su concreti progetti volti alla “Full Spectrum Dominance”, cioè al dominio militare planetario, consistente nell’insieme di deterrenza, controllo e capacità di proiezione militare in tutti i possibili campi di battaglia.

 In questo contesto si inserisce l’attività del Project Air Force della Rand Corporation (think tank partner della U.S. Air Force ed espressione delle lobbies dell’industria militare) che agli inizi del 2003 ha divulgato il documento Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space. Lo studio offre argomentazioni in favore dello sviluppo rapido delle capacità militari statunitensi nello spazio. Esso parte dal postulato che bisogna proteggere i satelliti commerciali Usa, che veicolano il flusso di informazioni dal quale dipende grande parte dell’economia nazionale. Ma - esso osserva - anche le Forze Armate sono dipendenti dai mezzi di comunicazione satellitare, i quali potrebbero subire attacchi tramite bombe nucleari o ad impulsione elettromagnetica - da parte di potenziali nemici che però non identifica. Partendo da questi presupposti, il testo giustifica la necessità di investire massicciamente nella guerra spaziale, al fine non solo di sorvegliare le attività spaziali delle Potenze concorrenti, ma anche di “assicurare il nostro accesso continuativo allo spazio e negare lo spazio ad altri, se necessario” - “ensure our continued access to space and deny space to others, if necessary” (luogotenente generale E. G. Anderson III)[9].

 Il documento della Rand si inserisce dunque perfettamente nella logica unipolar-imperiale volta al definitivo rafforzamento del gap di potenza tra gli Usa ed i potenziali concorrenti, ed è la risposta all’annuncio - nel maggio 2001 da parte di Rumsfeld - della riorganizzazione dei programmi spaziali del Pentagono (l’U.S. Space Command era già stato istituito nel 1985): “Alla Air Force sarà assegnata la responsabilità di organizzare, addestrare ed equipaggiare forze per rapide e sostenute operazioni spaziali, di carattere offensivo e difensivo”[10].

 L’annuncio di Rumsfeld era sorprendente nella scelta dei tempi - in quanto andava a esacerbare i timori e le polemiche già suscitate dalla annunciata volontà di denunciare il trattato Abm e di voler costituire il Theater Missile Defense (Tmd), avvalorando le tesi di chi considerava quest’ultimo progetto il “thin edge of the wedge” per la weaponization dello spazio - ma non era un fulmine a ciel sereno, in quanto già in gennaio Rumsfeld aveva pubblicamente annunciato le raccomandazioni della “Congressional Commission to Assess United States National Security Space Management and Organization” da lui presieduta:

 

Sappiamo dalla storia che ogni elemento - aria, terra e mare - ha visto dei conflitti. […] La realtà indica che lo spazio non sarà differente. Data questa virtuale certezza, gli Usa devono sviluppare i mezzi sia di deterrenza che di difesa contro atti ostili nello e dallo spazio. Ciò richiederà superiori capacità spaziali […]. Gli Usa devono avere l’opzione di dispiegare armi nello spazio quale mezzo di deterrenza contro le minacce e, se necessario, di difesa contro attacchi ai propri interessi. [...] l’avere tale capacità darebbe agli Usa un deterrente molto più forte e, in un conflitto, uno straordinario vantaggio militare.

 

 Affermazione, quest’ultima, che lascia aperta la strada ad un uso non esclusivamente difensivo. La conferenza-stampa dell’8 maggio, quindi, non era che il primo passo della istituzionalizzazione del Rapporto della Commissione, il quale era un rimaneggiamento di rapporti già pubblicati dallo U.S. Space Command[11], che persegue l’obiettivo di “Dominare la dimensione spaziale delle operazioni militari per proteggere gli interessi e investimenti statunitensi. Integrare le Forze Spaziali nell’apparato bellico a 360°”, ritenendo che “il potere spaziale è vitale per conseguire i concetti operativi del Joint Vision 2010” (1996) - finalizzati alla “Full Spectrum Dominance”.

 Secondo lo US Space Command, le “space capabilities” daranno agli Usa una superiorità strategico-militare schiacciante “while denying this advantage to our adversaries”, apportando il loro contributo a ciascuno dei quattro concetti operativi del Joint Vision 2010. La conclusione dell’US Space Command, dunque, è che “Space power is key to achieving Joint Vision 2010” e, conseguentemente, appunto la “Full Spectrum Dominance”[12].

 A togliere ogni possibile dubbio circa gli obiettivi dello US Space Command ha pensato (fuori dal gergo militare) il suo stesso “Commander-in-Chief” Joseph W. Ashy.

 

Alcune persone non vogliono sentirne parlare, e sicuramente non è un argomento alla moda, ma – assolutamente - siamo prossimi a combattere nello spazio. Siamo prossimi a combattere nello spazio e dallo spazio… Un giorno colpiremo obiettivi terrestri - navi, aerei, obiettivi di terra - dallo spazio[13].

 

 Partendo da tali presupposti, lo U.S. Space Command ha teorizzato nel documento “U.S. Space Com’s Vision for 2020” (pubblicato nel 1998) l’opportunità per gli Usa di garantirsi il “Control of Space” quale “abilità di assicurare l’ininterrotto accesso allo spazio per le forze statunitensi e dei nostri alleati, la libertà delle operazioni nello spazio e la abilità di negare agli altri l’uso dello spazio, se richiesto” al fine di “proteggere la nostra posizione nello spazio ed essere in grado di impedire ad altri Paesi di raggiungere un vantaggio tramite i loro sistemi spaziali”.

 

 Il “Control of Space” è il primo, e imprescindibile, dei quattro Concetti Operativi previsti dal “Visions for 2020”.

“Operational Concepts for U.S. Space Com’s Vision 2020”

 

Esso è la premessa per il “Global Engagement”, che “è la combinazione della sorveglianza globale della Terra (vedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento), della difesa missilistica su scala mondiale, e della capacità potenziale di applicare la forza dallo spazio […]. Per esempio, un sistema per l’applicazione della forza basato nello spazio potrebbe essere utilizzato per attacchi strategici”.

 Quanto alla “Full Force Integration”, essa significa l’integrazione sinergica tra le forze spaziali e quelle di terra, mare e cielo, mentre – infine - la “Global Partnerships” ha lo scopo di “aumentare le capacità spaziali militari sfruttando i sistemi spaziali internazionali civili e commerciali. Questo concetto operativo discende dalla crescita esplosiva di tali sistemi, che gli Usa possono utilizzare per sostenere - e ridurre il costo di - le proprie capacità militari” (evidentemente la protezione che il “benevolent empire” offre ai suoi alleati non è del tutto gratuita).

 La conclusione di “Visions for 2020”, pertanto, è che nel XXI secolo le forze spaziali non dovranno limitarsi a fornire supporto strategico alle forze “terrestri”, ma che “inizieranno anche a condurre operazioni spaziali. L’emergente sinergia tra la superiorità spaziale e quella di terra, mare ed aria, ci consentirà di ottenere la Full Spectrum Dominance”[14].

 

Le posizioni dei “falchi” e le armi spaziali in cantiere

 Il documento della Rand, allora, non è piovuto dal cielo, ma è il risultato ultimo della volontà imperialista dei militari e di altri “falchi” della “guerra fredda” - oggi alla Casa Bianca - di consolidare per il prossimo secolo l’unipolar moment[15]. Se tale obiettivo è stato il filo rosso della politica estera e di difesa di tutte le amministrazioni del dopo-“guerra fredda” (a cominciare dal mantenimento in Europa della Nato dopo il crollo del Muro di Berlino) esso ha subito una forte accelerazione sotto l’amministrazione Bush, con il corollario di un unilateralismo senza precedenti.

 Ne è un emblema la denuncia del trattato Abm del 1972 - che rappresentava l’ostacolo principale a qualsiasi progetto di collocare armi nello spazio - e l’annuncio della ripresa dei programmi spaziali da parte di Donald Rumsfeld. Questi ha operato una svolta rispetto alla politica della amministrazione precedente, in quanto “At present - riporta Visions for 2020 del 1998 - the notion of weapons in space is not consistent with US national policy”. Il veto espresso da Clinton a tre programmi di armamento spaziale - il Clementine II, l’Army Kinetic-Kill Anti-Satellite (ASAT) program ed il Military Space Plane - suscitò nondimeno la ferma presa di posizione dei militari. Quarantatre militari di alto grado in pensione inviarono una lettera aperta al presidente invitandolo a cambiare la sua decisione. La lettera faceva riferimento alla difesa missilistica spaziale ed ai mezzi per neutralizzare i satelliti nemici come “missions the United States military must be prepared to perform”[16]. Le richieste dei militari (e dell’industria militare) furono infine accolte da Rumsfeld.

 I progetti annunciati da questi sono il proseguimento dei programmi elaborati nel periodo Reagan (“Strategic Defense Iniziative”); ma oggi, al di fuori della logica dell’equilibrio bipolare, sono nient’altro che uno strumento - se non lo strumento principale - volto al consolidamento del superpotere americano in modo potenzialmente offensivo contro le Potenze emergenti. I neo-conservatori oggi alla Casa Bianca condividono la convinzione dei militari secondo la quale

 

[…] lo spazio oggi è analogo all’aviazione prima della Prima Guerra Mondiale. La transizione dell’aviazione da elemento di supporto a strumento bellico in sé e per sé, sarà presto emulata dai sistemi spaziali. Ogni tentativo di impedire questo processo non solo è destinato al fallimento, ma lascerà anche gli Usa vulnerabili agli attacchi da parte di altri Paesi che perseguono aggressivamente la space weaponization[17].

 

 Di conseguenza gli Usa non devono perdere posizioni nello spazio rispetto alle potenze emergenti se vogliono mantenere lo status di unica Superpotenza: anzi, portando il ragionamento alle estreme conseguenze, devono realizzare quanto prima la weaponization per poter negare agli altri l’accesso allo spazio, “medium” chiave della Full Spectrum Dominance del XXI secolo. Da questo punto di vista, le proteste di Russia e Cina appaiono del tutto comprensibili. Ad esse non sfugge che il programma popolarmente rinominato “Star Wars” (per il quale il “Senate Armed Services Committee” ha approvato lo stanziamento di 8.3 miliardi poco dopo l’11 settembre) non ha a che fare con la difesa della Homeland; e proprio l’11 settembre ha dimostrato l’inutilità di un tale sistema contro la “asymmetric warfare”. Piuttosto, secondo il “Colorado Springs Indipendent”,

 

La realtà, raramente discussa dai media e dai politici, è che il cosiddetto programma di difesa missilistica è semplicemente la prima fase in un programma di lungo termine volto a stabilire la superiorità militare nello spazio, un ambito che storicamente è stato largamente riservato a funzioni pacifiche[18].

 

 Per gli stessi militari è chiaro che la costituzione di un sistema di difesa missilistico spaziale garantirà agli Usa non solo la possibilità di difendersi da eventuali attacchi, ma anche - e soprattutto - la capacità di “virtualmente tagliar fuori il resto del mondo dall’accesso allo spazio. Ciò sarebbe possibile perché la capacità necessaria a fermare un attacco missilistico anche di piccola entità è sufficiente a prevenire il lancio di qualsiasi satelitte da parte delle altre Nazioni”[19].

 Quest’ultima eventualità trova conferma nei piani militari che prevedono lo sviluppo di un laser destinato ad armare un sistema di satelliti (SBLs, Space-Based-Lasers) capaci non solo di abbattere missili nemici lanciati da basi terrestri ma anche di distruggere satelliti ostili e colpire obiettivi terrestri nemici. Il confine tra difesa e offesa si fa evidentemente molto sottile ma, assicura il senatore del Colorado Allard, lo SBL è solo per scopi “dimostrativi”, quale arma esclusivamente difensiva[20]. Così non sembra, leggendo le informazioni divulgate dagli stessi militari. Il laser “supporterà la difesa attiva contro obiettivi aerospaziali, così come il controllo dello spazio e l’applicazione della forza nello e dallo spazio”[21].

 Minori controversie circa la natura della loro funzione riguardano un altro genere di satelliti attualmente allo studio, capaci di colpire target terrestri con proiettili al tungsteno non-esplosivi. Tali proiettili, chiamati “Rods from God”, possono essere guidati via satellite verso qualsiasi obiettivo sulla Terra in pochi minuti e colpire ad una velocità di più di 12.000 piedi al secondo, sufficiente a distruggere anche bunker rinforzati di svariati livelli sotterranei. Non è necessaria alcuna carica esplosiva, in quanto la forza distruttiva deriva dalla velocità e dal peso dei proiettili.

 Il sistema satellitare sarà poi affiancato da “aerei spaziali”, capaci di colpire qualsiasi obiettivo sulla Terra nel giro di poche ore. Il Falcon (acronimo per Force Application and Launch from the Continental United States) sarà inviato nella stratosfera da un aereo ausiliario e viaggerà a un’altitudine di 100.000 piedi e ad una velocità di 12 volte quella del suono. Il primo volo dimostrativo è fissato per il 2006. Oltre ad essere in grado di colpire un obiettivo più velocemente di un bombardiere convenzionale, il Falcon sarà virtualmente invulnerabile. Nessun aereo nemico o missile anti-aereo può volare così in alto, mentre il Falcon può lanciare missili anti-aerei. Inoltre non ci sarà bisogno di basi all’estero, perché il raggio di azione e la velocità del Falcon gli consentiranno di partire da basi situate sul territorio degli Stati Uniti. Secondo i ricercatori dello U.S. Space Command, sarà in grado di colpire obiettivi ovunque sulla Terra in meno di un’ora[22].

 Lo scopo dell’insieme di tali dispositivi è la “Full Spectrum Dominance”, presupposto dell’ordine unipolar-imperiale. Secondo quanto riportato nello “Space Command’s Strategic Master Plan FY04” (documento del novembre 2002, il cui obiettivo dichiarato è “non solo di mantenere il nostro corrente vantaggio militare, ma anche di raggiungere un vantaggio asimmetrico tramite capacità militari basate nello spazio”) entro il 2025 l’insieme di tali dispositivi garantirà ai militari statunitensi “la capacità di distruggere gli obiettivi nemici in ore/minuti piuttosto che in settimane/giorni” pur con una ridotta presenza militare sul terreno[23].

 Ancor più chiaramente il precedente Master Plan (FY02) affermava a proposito delle previsioni di lungo termine (2014-2025):

 

L’abilità di arrestare le operazioni nemiche in ore, minuti, o addirittura secondi, si baserà sulla capacità di condurre un rapido e globale attacco convenzionale”. A tal proposito il “SOV (Space Operations Vehicle)…garantirà una capacità di attacco convenzionale più forte e flessibile. Inoltre… lo SBL (Space-Based Laser) darà agli Usa ed ai loro alleati una rivoluzionaria superiorità aerea ed un vantaggio offensivo rispetto ai sistemi terrestri. […] La capacità fornita dallo SBL di colpire rapidamente e globalmente obiettivi spaziali ed aerei, darà agli Usa un formidabile vantaggio militare. La combinazione dello SBL con lo SOV fornirà alla National Command Authority una completa gamma di opzioni per un rapido e globale attacco convenzionale[24].

 

 In linea con il precedente, l’ultimo Master Plan conferma le tesi di chi ritiene che il programma spaziale statunitense abbia una funzione offensiva, al pari se non altro di quella difensiva e di deterrenza: l’“Offensive Counterspace” (OCS) e il “Defensive Counterspace” (DCS) sono i due pilastri su cui si basa la “Space Superiority”, la quale è il presupposto per “sfruttare più pienamente lo spazio tramite rafforzate capacità volte alla Force Enhancement ed alla Force Application”. Questo al fine di ottenere, tra gli altri, gli obiettivi di:

 

§        “Modernizzare gli ICBMs (Intercontinental Ballistic Missiles) e sviluppare capacità di rapido attacco globale non-nucleare per fornire una deterrenza adattabile e un potere spaziale coercitivo”;

§         “Trasformare lo spazio dall’essere centrato sulla Force Enhancement al provvedere anche - oltre gli ICBMs - capacità di Force Application nello, dallo ed attraverso lo spazio”[25].

 

 

 

 

 

Lo scenario di guerra decisivo

Il programma spaziale non ha dunque la finalità esclusivamente difensiva divulgata alla opinione pubblica nazionale e mondiale, ma ha, come asserisce il Master Plan del 2002 nelle conclusioni, quella di garantire - attraverso la somma di capacità offensive e difensive - la supremazia militare degli Usa nello spazio, che nel prossimo futuro sarà lo scenario di guerra decisivo.

 I progetti spaziali rilanciati da Rumsfeld subito dopo la sua nomina a Segretario della Difesa hanno suscitato le critiche non solo della comunità internazionale ma anche dell’opinione pubblica americana, contraria ad una ripresa della politica di riarmo. Prima che le dichiarazioni di Rumsfeld portassero alla luce la faccenda, però, l’“uomo della strada” non era minimamente informato -ma molto probabilmente non lo è tuttora, o piuttosto è disinformato - a causa del silenzio dei mainstream media, sempre più in mano ai poteri forti (ad esempio la Nbc è di proprietà della General Electric)[26]. Le informazioni - seppur divulgate spesso dagli stessi militari e reperibili su Internet - restano in sostanza circoscritte agli addetti ai lavori, al giornalismo di inchiesta ed alle organizzazioni pacifiste. Tra queste ultime, il “Global Network Against Weapons & Nuclear Power in Space”, nato nel 1992, si pone l’obiettivo di “to oppose the nuclearization and weaponization of space by building an international constituency on the issue”.

 Se per l’attuale amministrazione Bush conta principalmente la logica della forza unipolar-unilaterale (che si traduce in pratica nell’isolazionismo e nel rifiuto del diritto internazionale, come dimostrato in più occasioni dalla denuncia del trattato Abm, dal rifiuto della ratifica del protocollo di Kyoto e del trattato istitutivo del Tribunale Penale Internazionale, per finire con il ricorso strumentale e quindi l’umiliazione dell’Onu riguardo la guerra contro l’Iraq) per i pacifisti, invece, il diritto internazionale resta la legge che deve regolare i rapporti tra Stati: essi fanno notare - in modo lapalissiano - che i piani spaziali statunitensi si pongono al di fuori di esso, in primo luogo dell’“Outer Space Treaty” del 1967 che bandisce il dispiegamento di armi di distruzione di massa nello spazio. Il 20 novembre 2000 - date le dichiarazioni statunitensi che lo rifiutavano implicitamente - l’Assemblea Generale dell’Onu ha votato per riaffermare l’“Outer Space Treaty” e nello specifico la clausola che dispone l’uso dello spazio per “peaceful purposes”: 163 Paesi hanno votato a favore, gli Usa si sono astenuti (accompagnati da Israele e Micronesia)[27].

 Dopo lo shock dell’11 settembre, però, è diventato più difficile informare l’“uomo della strada” di tali questioni. Le critiche alla politica spaziale della amministrazione Bush sono percepite come antipatriottiche, tanto più che il progetto di scudo spaziale è stato presentato come uno strumento esclusivamente difensivo. Forse dopo l’11/9 l’editoriale del “The New York Times Magazine” (datato agosto 2001, intitolato The Coming Space War e che inizia così: “Scenario di battaglia: lo spazio. La guerra spaziale sembrava pura fantasia. Ora, per la gioia dei pianificatori militari e per lo sgomento di molti civili, è più vicina alla realtà di quanto potresti pensare”) non sarebbe stato scritto. Esso accoglie la tesi di quanti sostengono che il programma spaziale Usa va ben oltre i propositi di difesa nazionale per essere piuttosto il “cavallo di Troia” con cui assumere il dominio militare dello spazio, e conclude criticandolo per la costosa corsa agli armamenti che scatenerà.

 

Se noi [noi Stati Uniti, andiamo nello spazio per] pianificare, testare e dispiegarci aggressivamente quale unica Superpotenza, possiamo esser certi che, dopo il breve respiro di sollievo per la competizione nucleare della “guerra fredda”, ci imbarcheremo ancora una volta in una nuova e costosa arms race. E con questa ci assumeremo la cupa responsabilità di una rapida evoluzione verso la guerra spaziale[28].

 

 Oggi tuttavia - afferma Bruce Gagnon del “Global Network Against Weapons & Nuclear Power in Space” - tale corsa all’armamento è propinata - costi quel che costi - ad un’America impaurita, come la garanzia della sua sicurezza contro gli attacchi degli “rogue States”.

 

 Alle stesse conclusioni circa l’arms race giungono, sul fronte opposto, i promotori della corsa allo spazio. La Rand Corporation prevede che la presenza militare statunitense nello spazio indurrà uno squilibrio strategico che le altre potenze non potranno ignorare: da qui il lancio di una corsa all’armamento spaziale, una sfida che gli Usa dovranno vincere[29].

 Più articolate, ma in sostanza uguali, sono le conclusioni cui giunge un libro sponsorizzato dalla Rand, Space Weapons Earth Wars[30]. Dopo una approfondita analisi delle tipologie di armi spaziali con i loro pro e contro (dove i primi prevalgono sui secondi in termini di rapidità ed efficacia di utilizzo, con la parallela impossibilità del nemico di difendersi) esso prevede che la corsa per il loro possesso partirà indipendentemente dal fatto che siano gli Stati Uniti a fare la prima mossa. Tanto vale, allora, che siano loro ad accelerare in questa direzione per mantenere l’attuale leadership spaziale e fronteggiare il possibile dotarsi di armi spaziali da parte di altri Paesi. Il libro, pur senza citarla esplicitamente, fa chiaramente riferimento alla Cina.

 La Rand, dunque, non fa che riprendere le idee circolanti negli ambienti militari. Data la sua impotanza strategica per la “Full Spectrum Dominance” (il “dominio militare a tutto campo” consistente nella capacità di proiezione militare unilaterale in qualsiasi scenario di guerra) e per l’esito della “Grand Strategy” volta a consolidare l’ordine unipolar-imperiale statunitense per il 21°secolo, gli Stati Uniti non devono perdere posizioni nello spazio rispetto alle potenze emergenti. La space weaponization è una tendenza inevitabile che gli Usa non possono impedire o ignorare: se non dispiegheranno armi nello spazio, saranno altri Paesi a farlo. Tanto vale, quindi, che gli Usa sfruttino il loro attuale vantaggio per non dovere recuperare le posizioni perdute. I rapidi progressi del programma spaziale cinese, piuttosto, impongono che gli Usa si muovano già ora di anticipo per non essere travolti dalla accelerazione dell’attività spaziale della Cina, garantita dalla sua forte crescita economica. La costituzione di capacità militari spaziali - del quale il programma di difesa missilistico è il primo passo - sarà la garanzia per “proteggere la nostra posizione nello spazio ed essere in grado di impedire ad altri Paesi di raggiungere un vantaggio tramite i loro sistemi spaziali”, e, in ultima analisi, per “negare agli altri l’uso dello spazio, se richiesto”.

 I rapporti prodotti dalla Rand sono il suggello della volontà dell’attuale amministrazione Bush di superare le ritrosie passate e realizzare in tempi brevi la weaponization dello spazio. L’ordine nella scala di priorità di tale progetto si desume dalla solerzia con la quale Donald Rumsfeld ha sbloccato i piani volti a collocare armi nello spazio subito dopo la sua nomina alla guida del Pentagono.

 Le lobbies dell’industria militare non possono che fregarsi le mani. La Lockheed Martin, uno dei maggiori finanziatori della Rand (ma, a tal proposito, se nel circolo della Rand la Lockheed Martin appartiene ai “Leaders” - donando tra i 25.000 ed i 50.000$ l’anno - Rumsfeld rientra tra i “Benefactors” che donano più di 50.000$[31]) recentemente ha vinto una commessa da 40milioni$ della “Missile Defense Agency” del Pentagono, per progettare un velivolo spaziale robotizzato da utilizzare in compiti che vanno dalla sorveglianza all’abbattimento di missili[32]. Ma questo è uno dei molteplici progetti militari (tra i quali vi è il Falcon) in cui la Lockheed Martin è coinvolta. Oltre a questa, Martin, gli altri beneficiari delle commesse militari sono la Boeing, la Raytheon e la TRW. Queste quattro corporazioni hanno finanziato la campagna presidenziale di Bush ed ora stanno largamente rientrando nelle spese del loro investimento politico.

 Quando la campagna presidenziale del 2000 è entrata nella fase finale, le lobbies dell’industria militare erano impegnate nel sostegno di entrambe le parti, ma mostrarono una deciso favore per il candidato repubblicano, e per una buona ragione. Entrambi i candidati repubblicano e democratico si esprimevano a favore di un aumento delle spese militari, ma quello repubblicano era molto più favorevole al dispiegamento in tempi rapidi di un ambizioso e costoso programma di difesa missilistica. Il fatto che George W. Bush abbia ricevuto fondi per quattro volte e mezzo quelli ricevuti da Al Gore suggerisce che l’industria militare aveva una chiara preferenza per il candidato repubblicano: era proprio la sua promessa di realizzare il sistema di difesa missilistica a differenziarlo dall’avversario ed a far intravedere all’industria aerospaziale lauti guadagni.

 La amministrazione Bush, quindi, è intimamente legata all’industria aerospaziale, attraverso uomini di primo piano - come il segretario alla difesa Donald Rumsfeld ed il vicepresidente Dick Cheney - e svariati sottosegretari e funzionari già dipendenti delle industrie in questione.

 Quanto a questi ultimi, il World Policy Institute ha documentato la presenza nella amministrazione Bush di ben 32 ex-dipendenti dei maggiori “defense contractors” del Pentagono (mentre, per quanto riguarda i legami con le compagnie energetiche, queste hanno 21 loro esponenti alla Casa Bianca). Di questi 32, otto hanno legami con la Lockheed Martin. Tra questi otto vi è il sottosegretario dell’Air Force Peter Teets (che è a favore della weaponization dello spazio ed è l’autorità per l’acquisizione dei sistemi militari spaziali) ed Everet Beckner, che è il capo del settore armi nucleari presso il “Department of Energy’s National Nuclear Security Administration”. Tra le figure di primo piano, Dick Cheney è un ex membro del consiglio di amministrazione della TRW, mentre sua moglie, Lynne Cheney, lo è stata a lungo (dal 1994 al gennaio 2001) di quello della Lockheed Martin[33].

 Ma è Donald Rumsfeld il miglior amico del complesso militar-industriale, ed egli è nella posizione ottimale per fare i loro interessi. Sulla forza dei suoi legami con esse la sua storia personale lascia pochi dubbi. E’ un ex amministratore della Rand Corporation ed ex presidente della Commissione spaziale il cui rapporto finale ha aperto la strada alla realizzazione della difesa missilistica e quindi dei più ambiziosi piani dell’U.S. Space Command. La “Space Commission” è stata pesantemente influenzata dagli interessi dell’industria aerospaziale, in quanto tra i suoi membri aveva non meno di otto rappresentanti delle compagnie operanti nel settore della tecnologia spaziale e della difesa missilistica per il Pentagono. Rumsfeld è inoltre membro del think tank “Project for the New American Century” ed ha fatto parte del fortemente ideologizzato think tank “Empower America”. che ha vigorosamente attaccato i membri del Senato che hanno espresso dubbi circa il buon senso di procedere con il dispiegamento del sistema di difesa missilistico. Jack Kemp, esponente di “Empower America”, loda Rumsfeld per la svolta che ha dato al Pentagono.

 

Quando il mio caro amico Donald Rumsfeld è stato nominato Segretario della Difesa, sapevo che le nostre forze e il nostro morale militare avrebbero ricevuto non solo una spinta ma anche un robusto cambiamento quanto all’approccio alla nostra difesa nazionale. Infatti, già prima del peggior attacco sul suolo americano subito dagli Usa nella loro storia, Rumsfeld aveva iniziato un audace piano per trasformare le forze militari in una macchina autenticamente moderna ed avanzata tecnologicamente, capace di muoversi rapidamente, centrare obiettivi decisivi e, insomma, rappresentare ciò un esercito dovrebbe essere nel 21°secolo – essere capace di vincere una guerra e passare subito alla successiva[34].

 

Tensioni “spaziali” con la Cina

 Il connubio tra gli interessi delle industrie aerospaziali e la volontà unipolar-imperiale dei militari e di ideologi del calibro di Rumsfeld, quindi, sono la base e la linea guida del programma spaziale statunitense. Esso vuol essere la risposta “preventiva” ai rapidi progressi del programma spaziale cinese - resi palesi dal lancio dello Shenzhou 5 - percepiti dagli analisti militari come una seria minaccia alla leadership spaziale e terrestre degli Usa.

 Per costoro, infatti, lo Shenzhou - insieme al resto del programma spaziale - è intrinsecamente legato agli sforzi cinesi di modernizzare le proprie forze militari e raggiungere un vantaggio rispetto agli “space assets” statunitensi. Ad esempio, secondo il luogotenente colonnello Michael Stokes dell’U.S. Air Force - analista aerospaziale presso il dipartimento della difesa - “il programma cinese di voli spaziali con astronauti a bordo è parte delle più vaste ambizioni spaziali della Cina, che hanno chiare implicazioni per la sicurezza degli Usa per i prossimi 10-20 anni”. Stokes dichiara che la Cina ha prestato grande attenzione al ruolo strategico che gli “space assets” hanno giocato nelle imprese militari statunitensi del dopo-“guerra fredda” - dalla guerra del Golfo del 1991 all’ultima contro l’Iraq - e che personalmente è meno preoccupato del tentativo (la missione dello Shenzhou 5 non aveva ancora avuto luogo) della Cina di raggiungere lo “human space flight club” che dei suoi sforzi di “sviluppare un robusto network di propri satelliti militari, cercando allo stesso tempo i mezzi per far fuori i satelliti altrui nel caso di un conflitto”[35] – evidentemente i militari statunitensi riflettono sul nemico la loro volontà di “deny space to others, if necessary”.

 La Cina ufficialmente risponde alle ansie statunitensi affermando la sua volontà di utilizzare lo spazio a scopi pacifici, nel rispetto del diritto internazionale. Piuttosto sottolinea come “certain countries” mostrino di volere realizzare la weaponization dello spazio, in seguito alla abrogazione del trattato Abm e alle dichiarazioni di voler sviluppare il “Theater Missile Defense”. Le autorità cinesi, dunque, ammoniscono indirettamente gli Stati Uniti nei termini seguenti:

La Cina è preoccupata della ricerca e sviluppo congiunto da parte di certi Paesi del Theater Missile Defense, con un occhio al suo dispiegamento nella regione dell’Asia del Nordest. Ciò condurrà alla proliferazione della tecnologia missilistica avanzata e sarà dannoso per la pace e la stabilità della regione Asia-Pacifico. La Cina si oppone risolutamente ad ogni Paese che fornisca in qualsiasi modo a Taiwan l’assistenza e la protezione del TMD (corsivo nel testo originale)[36].

 La Cina quindi, pur ribadendo le sue intenzioni pacifiche, ha l’obiettivo di dotarsi dei mezzi per portare avanti i propri intereressi (Taiwan innanzittutto, ma anche le isole Spratly), garantire la sua sicurezza (la divisione unipolar-imperiale del mondo tra alleati e nemici degli Stati Uniti e la dottrina Bush dell’attacco preventivo, d’altro canto, non possono che mettere all’erta un Paese come la Cina che spinge per il superamento della unipolare “Pax Americana” e che alla sua periferia ha importanti motivi di contrasto con gli interessi statunitensi) ed essere in grado di sostenere un conflitto con gli Usa. Tutto questo si traduce in un robusto piano spaziale, i cui rapidi progressi inquietano gli Usa in quanto tendono al rafforzamento dell’influenza regionale cinese e alla transizione verso un ordine multipolare. La competizione ha anche un luogo geopolitico particolarmente caldo. Le isole Spratly sono infatti oggetto di un contenzioso tra la Cina e gli Usa in quanto rivestono grande importanza strategica: sono sulla rotta marittima commerciale più importante del mondo - dalla quale passa il 25% della produzione mondiale di petrolio, proveniente dal Medio Oriente e diretta verso il Giappone e gli Stati Uniti - ed hanno importanti giacimenti di petrolio nei loro dintorni[37].

 

 

 Le ansie unipolariste degli Usa sono state ravvivate dagli annunci e quindi dal successo del lancio dello Shenzhou 5, in relazione al teso scenario taiwanese. La prima “manned mission” cinese, infatti, secondo il Pentagono fornirà informazioni militari alla Cina nella prospettiva di un conflitto con gli Stati Uniti circa Taiwan, e non sarà una missione di interesse puramente scientifico[38]. Difficilmente potrebbe essere altrimenti, visto che la divisione tra programmi spaziali civili e militari cinesi è inesistente e lo stesso Shenzhou è sotto la supervisione del “PLA’s General Armament Department”: lo Shenzhou 5 - per ammissione degli stessi cinesi - “avrà una camera CCD con una risoluzione di 1,6 metri sul terreno, che potrà essere usata a fini militari”[39].

 Per il già citato colonnello Stokes, l’invio dell’uomo nello spazio da parte della Cina non è preoccupante in sé, ma come segnale del livello tecnologico da essa raggiunto nel campo dei vettori spaziali, in quanto Pechino - nel timore di perdere definitivamente il controllo su Taiwan - “sta sviluppando capacità spaziali che potrebbero essere usate nell’eventualità di un conflitto nello stretto di Taiwan”, consapevole che “gli space assets giocheranno il ruolo da protagonista in un futuro uso della forza contro Taiwan e nella prevenzione di ogni intervento straniero nello scenario taiwanese”[40]. I progressi tecnici derivanti dalla missione dello Shenzhou 5 e delle successive “manned missions” potranno essere reinvestiti militarmente nello sviluppo non solo di missili balistici ma anche di armi anti-satellite e nano-satelliti per lo spionaggio[41]. Secondo gli esperti Usa Pechino sarà capace di “lanciare rapidamente piccoli satelliti da ricognizione per monitorare la sua periferia e l’Oceano Pacifico orientale entro i prossimi 3-5 anni[42].

 Visti i progressi del suo programma spaziale - sostenuto da una forte volontà politica in quanto presupposto basilare della propria visione geostrategica - la Cina, dunque, ha le carte in regola per insidiare il primato spaziale statunitense, tanto più se si considera che esso è sostenuto da finanziamenti in forte crescita. Nel marzo 2002 il Ministro per le Finanze cinese Xiang Huaicheng ha annunciato un aumento delle spese militari per il 2002 del 17,5%, portando il totale a 20 miliardi$ (quelle statunitensi ammontano a 24 miliardi$ per la Nasa e “unclassified military space programs”). Ciò fa della Cina il secondo maggior investitore militare del mondo dopo gli Usa, e il secondo in Asia. Inoltre l’alto tasso di crescita economica cinese lascia prevede agli analisti americani che “la spesa annuale per la difesa potrebbe aumentare di 3-4 volte da ora al 2020”[43].

 Di fronte a questi dati, gli Usa stanno prendendo molto sul serio la sfida spaziale e, seppur in vantaggio, già si preoccupano dell’ulteriore traguardo in programma nell’agenda cinese: la Luna

 Secondo Robert Walker, ex presidente della commissione sul futuro dell’industria aerospaziale statunitense, i cinesi sono definitivamente intenzionati a divenire una potenza spaziale: i loro progetti non si limitano semplicemente alla “navigazione” nella bassa orbita terrestre, ma puntano alla Luna e poi a Marte. Se gli europei sono determinati a sfidare la preminenza statunitense nella aviazione civile, la sfida alla leadership nello spazio viene dalla Cina.

 Walker è convinto che la Cina sia impegnata in un aggressivo programma spaziale al fine di andare sulla Luna e di stabilirvisi permanentemente entro un decennio (secondo alcuni studiosi giapponesi la Cina sarà capace di raggiungere la Luna già tra 3-4 anni). Le basterà investire l’1% del proprio PIL nei prossimi anni per garantire le risorse per un programma spaziale molto robusto. Gli Usa, invece, secondo Walker oggi non sono in grado di replicare l’impresa di 35 anni fa. L’incapacità di competere in una nuova moon race non ha solo un risvolto di orgoglio nazionale, ma pone anche seri interrogativi strategici. In qualità di secondo Paese ad essere andato sulla Luna, la Cina ne trarrebbe un grande prestigio internazionale. Dallo stabilirvi delle basi stabili, poi, ricaverebbe la possibilità di sfruttarne le risorse ed acquisire un vantaggio in importanti settori tecnologici - tra cui quello della fusione nucleare - con concrete ricadute sulle attività terrestri.

 La conclusione di Walker è che il programma spaziale cinese non è stato ancora affrontato seriamente dai circoli politici statunitensi, ma nondimeno esso rappresenta una grossa sfida alla leadership degli Usa nello spazio. A tale sfida essi devono rispondere con lo sviluppo di nuove tecnologie (come il sistema di propulsione al plasma nucleare) che consentano di raggiungere la Luna e Marte più velocemente di quanto finora possibile, e di spostarsi nella bassa orbita terrestre più frequentemente e con minori spese[44].

 

“Negare lo spazio ad altri”, e specialmente alla Cina

 In questa logica, si capisce che l’espressione già citata “ensure our continued access to space and deny space to others, if necessary” è rivolta ad un preciso destinatario. Il Pentagono, d’altro canto, ritiene che la Cina abbia la medesima intenzione nei confronti degli Stati Uniti, e considera le sue dichiarazioni polemiche nei confronti dei ventilati progetti statunitensi di weaponization spaziale - espresse davanti alla commissione Onu sull’uso pacifico dello spazio - quale il mezzo di colpire diplomaticamente gli Usa e di rallentarne l’azione, mentre essa stessa in segreto lavora alacremente ai medesimi progetti. Anche secondo Larry Wortzel, direttore dell’“Asian Studies Center” presso il think tank conservatore “Heritage Foundation”, l’introduzione da parte cinese di un disegno di trattato contro la weaponization of space è ingannevole (perché “la Cina stessa sta indubitabilmente sviluppando armi spaziali”) e non ha altro scopo che colpire diplomaticamente gli Usa e ritardare il loro piano di difesa missilistica mentre la Cina avanza spedita con i suoi piani segreti[45]. Secondo il Pentagono ed i think tank ad esso vicini, quindi, la Cina avrebbe il segreto desiderio di prendere nello spazio quello che ora è il ruolo degli Stati Uniti. Secondo Richard Fisher (del think tank “The Jamestown Foundation”) il PLA ha ben chiaro il concetto che il control of space - quale teorizzato dagli american i- è un obiettivo che la Cina stessa deve raggiungere: “La Cina necessita della capacità di negare agli Usa l’accesso e l’uso dello spazio, dal momento che gli stessi Stati Uniti sfruttano lo spazio per supportare le loro forze”[46].

 Vari elementi lasciano quindi prevedere che la sfida nello spazio tra Usa e Cina supererà quanto finora conosciuto circa l’utilizzo strategico-militare dello spazio (satelliti spia) per andare rapidamente verso la weaponization vera e propria dello stesso, a scopo sia difensivo che offensivo (due ambiti che si confondono e, visto l’obiettivo finale di deny space to others, vedono il secondo prevalere nettamente sul primo).

 E c’è chi va più in là. Se circa il carattere della politica spaziale della Cina non si hanno elementi certi (a parte le dichiarazioni di condanna della weaponization dello spazio e della corsa all’armamento che essa comporterà [47] – ma le reali intenzioni della Cina si possono desumere dalla volontà di espellere gli Usa dalla propria area di influenza) mentre si sa decisamente di più circa i suoi progressi spaziali e i progetti in cantiere, per quanto concerne gli Stati Uniti si può tranquillamente affermare che essi sono risoluti a mantenere con ogni mezzo la propria leadership nello spazio, chiave di volta della “Full Spectrum Dominance”. La relazione tra la dimensione spaziale e la dimensione imperiale (con accenti da “Manifest Destiny”) degli Stati Uniti, è suggellata - quasi a sintesi del pensiero militare esaminato - dalle conclusioni di The Future of War: Power, Technology & American World Dominance in the 2lst Century, scritto nel 1996 dagli “arms experts” G. e M. Friedman[48]. Qui le smanie di potere perdono ogni inibizione e, invece di “accontentarsi” di un XXI secolo unipolare, prevedono la costituzione di un impero millenario:

 

Così come dall’anno 1500 era chiaro che l’esperienza europea del potere sarebbe stata la sua dominazione globale dei mari, allo stesso modo non ci vuol molto a vedere che l’esperienza americana del potere si baserà sulla dominazione dello spazio. Come l’Europa ha espanso la guerra e il suo potere ai mari su scala planetaria, così gli Stati Uniti hanno intenzione di espandere la guerra nello spazio ed ai pianeti. Come l’Europa ha dato forma al mondo per mezzo millennio così gli Stati Uniti daranno forma al mondo per almeno la stessa lunghezza di tempo.

 



[1] Questo articolo è gia apparso sulla rivista "GIANO" N. 45, settembre-dicembre 2003 http://www.odradek.it/giano/archivio/2003/45.html

[2] Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell’era della supremazia americana, Longanesi&C., Milano 1998

[3] Samuel Huntington , The Lonely Superpower, “Foreign Affairs”, vol.78 n.2, marzo-aprile 1999

[4] William Wohlforth , The stability of a unipolar world, “International Security”, vol.24, n.1, Summer 1999

[5] Cristopher Layne, The unipolar illusion: why new great power will arise, “International Security”, vol.17, n.4, 1993

[6] Ibidem.

[7] Kenneth Waltz, The emerging structure of international politics, “International Security”, vol.17, n.2 ,1993

[8] Robert Kagan, The Benevolent Empire, “Foreign Policy”, Summer 1998

[9] Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space, http://www.rand.org/publications/ MR/MR1649/

[10] Donald Rumsfeld, discorso dell’ 8-5-2001, http://www.defenselink.mil/news/may2001/ b05082001_bt201-01.html

[11] Ruth Rosen, Arming the Heavens, “Peacework”, May 2001

[12] US Space Com’s Vision for 2010, http://www.fas.org/spp/military/docops/usspac/lrp/ch02.html

[13] Joseph W. Ashy, in “Aviation Week and Space Technology”, settembre 1996

[14] US Space Com’s Vision for 2020, http://www.gsinstitute.org/resources/extras/vision_2020.pdf

[15] Charles Krauthammer, The Unipolar Moment, “America and the World”, 1990/91

[16] William Callahan, seminario del 20 aprile 2000, National War College, http://www.ndu.edu/nwc/writing/AY00/ 5605/Callahan.pdf

[17] Ibidem.

[18] Terje Langeland, The final frontier: the U.S. military’s drive to dominate space, “Colorado Springs Indipendent”, December 13, 2001

[19] William Callahan, op. cit.

[20] Terje Langeland, op. cit

[21] 1998 Army Science and Technology Master Plan, http://www.fas.org/man/dod-101/army/docs/ astmp98/index.html

[22] Jack Kelly, Possible space weapons of the future, “Post-Gazette”, 28 July 2003

[23] Air Force Space Command, Strategic Master Plan FY04 and Beyond (2002), http://www.thememoryhole.org/mil/ space-command-plan-fy2004.pdf

[24] Air Force Space Command, Strategic Master Plan FY02 and Beyond (2000), http://www.wslfweb.org/docs/ afspaceplan02/afspcplan02.htm

[25] Air Force Space Command, Strategic Master Plan FY04 and Beyond (2002), http://www.thememoryhole.org/ mil/space-command-plan-fy2004.pdf

[26] Karl Grossman, The Phantom Menace. Space Weapons Aren’t on Media Radar, “Extra!”, May/June 1999

[27] http://disarm.igc.org/55GAvote.htm

[28] editoriale del “The New York Times Magazine”, The Coming Space War, august 2001

[29] Mastering the Ultimate High Ground, op. cit.

[30] Bob Preston, Dana Johnson, Sean Edwards, Michael Miller, Calvin Shipbaugh, Space Weapons Earth Wars, Paperback 2002

[31] Rand, Policy Circle Members, http://www.rand.org/ giving/circle.html

[32] Benjamin Ford, Lockheed Martin expects 'battle blimp' project to fly, 3 October 2003, http://www.gazette.net/business

[33] Michelle Ciarrocca, William D. Hartung, Axis Of Influence: Behind the Bush Administration’s Missile Defense Revival, “World Policy Institute”, July 2002, http://www.worldpolicy.org/projects/arms/reports/axisofinfluence.html

[34]Jack Kemp, 21st century Pentagon procurement practices, 8/5/2003, http://www.empoweramerica.org/ stories/storyReader$845

[35] Brian Berger, China Launch Won’t Ignite New Space Race, Analysts Say, “Space.com”, 14 October 2003

[36] Missile Defense and Prevention of an Arms Race in Outer Space, estratto del libro China’s National Defense in 2002, http://english.pladaily.com.cn/special/book/c2002/index.htm

[37] Ted Galen Carpenter, “Non sprechiamo la grande occasione”, Limes 3/2002.

[38] Leonard David, China’s Space Program Driven by Military Ambitions, “Space.com”, 13 March 2002

[39] Hou Yi, Shenzhou-5 Launcher Ready for Transfer to Jiuquan Launch Site, “SpaceDaily.com”, 11 August 2003

[40] Chris Cocker, PRC space program targets Taiwan: U.S. export, “The China Post-internet edition”, 2-10-03, http://www.chinapost.com.tw/backissue/ detail.asp?ID=41802&GRP=A

[41] Hou Yi, op. cit.

[42] Chris Cocker, op. cit.

[43] Annual Report to Congress on the Military Power of the People’s Republic of China, U.S. Department of Defense, July 2003, http://www.fas.org/nuke/guide/china/ dod-2003.pdf

[44] Robert Walker, The race into space, “The Washington Times”, 29 maggio 2003

[45] Chris Cocker, op. cit.

[46] Leonard David, op. cit

[47] China Urges Prevention of Arms Race, Weaponization of Outer Space, “People’s Daily Online”, Thursday, June 07, 2001, http://fpeng.peopledaily.com.cn/english/200106/07/ eng20010607_72008.html

[48] George Friedman, Meredith Friedman, The Future of War: Power, Technology & American World Dominance in the 2lst Century, Paperback 1998

 

 

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