COMUNITA'
CRISTIANA DI BASE
S.
PAOLO - ROMA
Letture: Atti (5,12-16),
Apocalisse (1,9-11 12-13 17-19),
Giovanni (20,19-31)
Tra le letture di oggi quella che di più ha stimolato la riflessione del gruppo è il Vangelo di Giovanni, che racconta l’apparizione di Gesù ai discepoli e a Tommaso. Più che sui dubbi di Tommaso – peraltro comprensibili - ci siamo soffermati a riflettere su come i discepoli riconoscono Gesù. Il loro Maestro è risorto, ma il suo corpo di risorto porta ancora su di sé i segni della violenza e della croce: è proprio attraverso quei segni, impressi nelle sue mani e sul suo fianco, che i discepoli lo riconoscono.
I Vangeli ci raccontano anche di altre apparizioni di Gesù dopo la sua morte. Ci siamo interrogati sul significato di queste apparizioni e ci siamo chiesti cosa avessero in comune.
E’ ancora il Vangelo di Giovanni che ci racconta la prima apparizione di Gesù, dopo la sua resurrezione. Maria di Magdala era rimasta a piangere vicino alla tomba, l’aveva trovata vuota e non sapeva dove avessero portato il corpo di Gesù. “Mentre parlava si voltò e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che era lui. Gesù le disse: - Perché piangi? Chi cerchi? Maria pensò che era il giardiniere e gli disse: - Signore, se tu l’hai portato via dimmi dove l’hai messo, e io andrò a prenderlo. Gesù le disse: - Maria! Lei subito si voltò e gli disse: - Rabbunì! (che in ebraico vuol dire: Maestro!) (Giovanni 20,14-16).
Maria dunque non riconosce Gesù vedendolo, né riconosce la sua voce. E’ solo quando gli sente pronunciare il suo nome che riconosce in quell’uomo il suo Rabbunì, il suo Maestro. Gesù la chiama: - Maria! E in quel sentirsi chiamata per nome, Maria ritrova il suo rapporto con Gesù, si sente riconosciuta e subito lo riconosce.
Nel racconto di Luca, due discepoli sono in viaggio verso Emmaus, quando Gesù si unisce a loro. Camminano insieme a parlano di ciò che era successo in quei giorni e della crocifissione di Gesù. Anche stavolta i discepoli non riconoscono il Maestro finché, arrivati a destinazione, non giungono in una locanda per mangiare. “Poi si mise a tavola con loro, prese il pane e pronunciò la preghiera di benedizione; lo spezzò e cominciò a distribuirlo. In quel momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù” (Luca 24,30-31).
Un’altra apparizione avviene in Galilea, sulla riva del lago Tiberiade, dove i discepoli erano andati a pescare. “Uscirono e salirono sulla barca. Ma quella notte non presero nulla. Era già mattina, quando Gesù si presentò sulla spiaggia, ma i discepoli non sapevano che era lui. Allora Gesù disse: - Gettate la rete dal lato destro della barca e troverete pesce. I discepoli calarono la rete. Quando cercarono di tirarla su non ci riuscivano per la gran quantità di pesci che conteneva. Allora il discepolo prediletto di Gesù disse a Pietro: - E’ il Signore! Quando scesero dalla barca videro un focherello di carboni con sopra alcuni pesci. C’era anche pane. Gesù disse loro: - Portate qui un po’ di quel pesce che avete preso ora. Simon Pietro salì sulla barca e trascinò a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci . Erano molto grossi ma la rete non s’era strappata. Gesù disse loro: - Venite a far colazione. Ma nessuno dei discepoli aveva il coraggio di domandargli: - Chi sei? Avevano capito che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo distribuì; poi distribuì anche il pesce. (Giovanni 21,3-7 9-13)
In nessuno di questi racconti i discepoli riconoscono Gesù dal suo aspetto: non dalle sue sembianze, non dalla sua voce, non dal suo modo di camminare e parlare. Lo riconoscono da altro: dai segni che la croce ha lasciato impressi sul suo corpo, dal modo in cui si rivolge a Maria, chiamandola per nome, dal quel segno, a lui così caro, dello spezzare il pane.
E’ un ri-conoscersi che presuppone un conoscersi dal di dentro. Solo Maria sa cosa significa per lei sentire il suo nome sulle labbra di Gesù, solo lei può capire il significato profondo di quel semplice momento, perché lo capisce dal di dentro della sua relazione con Gesù. Quell’episodio, l’essere chiamata per nome da uno sconosciuto, non è una prova inequivocabile della resurrezione di Gesù, ma per Maria di Magdala è tutto, è più di qualsiasi impronta digitale: il suo Maestro è davvero risorto e sarà lei ad annunciarlo agli altri discepoli.
Lo stesso si può dire degli altri racconti. Chi, se non i suoi discepoli, poteva riconoscere Gesù dal gesto dello spezzare il pane? Chi se non loro che lo avevano visto condividere, spezzare la sua vita fino ad affrontare la flagellazione, l’umiliazione e la morte? Solo loro conoscevano il segreto che si nascondeva dietro quel gesto apparentemente banale, gesto che racchiudeva in sé tutta la vita di Gesù e con il quale il Maestro aveva chiesto, nell’ultima cena, di ricordarlo.
Nell’introduzione all’articolo di Giuseppe Barbaglio su Confronti leggiamo: “La resurrezione di Cristo non è un fatto da scoprire con l’indagine storica, ma un evento che si coglie nella fede e che vede all’opera il Dio di Gesù che non lascia alla morte la parola ultima”.
Se i racconti sulle apparizioni di Gesù non sono spendibili come “prove” della sua resurrezione in un’indagine storica, risulta tuttavia difficile pensare che siano stati costruiti al fine di dimostrare quella resurrezione. Se non altro perché, a voler costruire delle prove, avrebbero potuto fare di meglio. Basti pensare all’annuncio della resurrezione da parte delle donne: a quale scrittore sarebbe mai venuto in mente di dimostrare un evento chiamando le donne a testimoni, affidando cioè la testimonianza di quell’evento a persone non credibili e non-testimoni per eccellenza, quali erano le donne ai tempi di Gesù? Questo ci porta a pensare che quei brani del Vangelo – per poco o tanto che dicano - raccontino ciò che i discepoli e le discepole di Gesù hanno davvero visto e udito.
Barbaglio scrive sul suo libro “Gesù ebreo di Galilea”: “La morte orrenda sul patibolo non è stata l’ultima parola pronunciata sul destino di Gesù; questa va assegnata alla fede di Pietro e dei suoi compagni che non l’hanno rinchiuso nel museo dei ricordi nostalgici e delle venerate memorie, ma l’hanno creduto e annunciato più che mai vivo e operante, certo non nella maniera in cui lo era stato in passato in Galilea e in Giudea, bensì al modo in cui Dio stesso si fa presente e operante nella storia e che solo la fede coglie e può cogliere”.
Ma torniamo ai segni impressi sul corpo di Gesù, attraverso i quali Tommaso e gli altri discepoli lo riconoscono. Al prodigio di Dio, che ha resuscitato Gesù dal regno dei morti, manca qualcosa: rimangono da sanare quelle piaghe. Gesù è insieme il risorto e il crocifisso, quasi a voler rimanere ostaggio dei crocifissi e delle crocifisse della storia. Per sanare quelle piaghe bisognerà liberare i tanti poveri Cristi dalle croci imposte a loro, come a Gesù, dai poteri politici e religiosi di tutti i tempi.
Di fronte al passaggio ultimo la nostra mente si ferma davanti al mistero: non è capace di valicare quel confine. Altro non possiamo fare se non affidare le vite delle persone che abbiamo amato e le nostre nelle mani del Signore, il Creatore della vita, sapendo con questo di affidarle in buone mani. La resurrezione finale è il miracolo che tocca a Dio. A noi toccano le piccoli grandi resurrezioni, che furono capaci di compiere i discepoli e le discepole di Gesù, seguendo il suo messaggio, portando la speranza dove non c’era speranza e spezzando il pane come Gesù aveva loro insegnato.
Lo dobbiamo ai crocifissi e le crocifisse del nostro pezzo di storia.