Domenica 11/12/05 - GRUPPO DI GROTTAPERFETTA - COMMENTO IN TRE PUNTI  

a) gioia e sorriso

Finalmente siamo invitati alla gioia. Finalmente qualcosa di diverso dalle madonne pellegrine che piangono sempre. Non si sa proprio perché nei secoli passati, per far ridere la gente in tempo di Pasqua si dovesse ricorrere a barzellette pesanti che lascerebbero sbigottiti anche i redattori del Vernacoliere. Siamo candidati alla risurrezione. Questo dovrebbe bastare, se soltanto ci credessimo, a darci allegria. È venuto un uomo che si chiamava Giovanni, il papa morto quaranta anni fa. Parlava di baci e sorrisi, ma la voce che circolava in Vaticano alla sua morte era che “Ci vorranno almeno trent’anni per rimediare i guasti operati da questo Papa in seno alla chiesa”. (Riferito da P. Pietro Chiocchetta, miss. comb.). Forse i baci e i sorrisi non si addicono alla maestà della scena liturgica e dei discorsi pontifici.

b) la luce

 Il commentatore Robert Mickens (Adista 79, 19 novembre 2005) presenta Papa Giovanni come un nuovo Battista: «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Confesso! Come se fosse orgoglioso di non essere la luce (il Cri­sto), eppure in questa sua semplice ed umile onestà rifletteva con maggiore brillantezza la luce che lui quasi si vantava di non essere. Lui scon­giurava i profeti di sventura nel suo essere profeta di luce.

In un periodo in cui la mi­naccia atomica incombeva sul pianeta, in una Chiesa dove il pessimismo sulle "cose del mondo" dominava nella mentalità un po' supponente della gerarchia, papa Giovanni diffondeva luce dimostrando la sua fiducia in tutto quello che è buono, la sua fiducia nell'essere umano. E quest'atto coraggioso di fiducia nell'uomo era molto di più di quel "semplicistico ottimismo" a cui anche oggi i sempre presenti "profeti di sventura" vogliono ricondurre il suo atteggiamento.

"Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare" (salmo 145). Un vero profeta, come era lui, non attira l'attenzione su di sé, ma ci indirizza verso la verità che vuole proclamare. Quella verità, per i cristiani, è la semplice ma inconfondibi­le realtà che il nostro Dio ci ama cosi tanto non solo da crearci a sua immagine e somi­glianza, ma al punto di voler essere uno di noi e uno con noi. È impossibile credere nell'Incarnazione se non crediamo anche ­come lo credeva papa Giovanni - che l'uomo sia fondamentalmente buono e capace di creare un mondo di pace e di concordia. Non è un'utopia. È semplicemente quello che do­vrebbe far parte del credo di ogni cristiano».

Di fatto, aggiungiamo noi, Gesù non ha detto soltanto: “Io sono la luce del mondo”, ma anche: “Voi siete la luce del mondo”. Quel «voi» erano tutti gli ascoltatori, siamo tutti noi.

c) la missione di Gesù e della Chiesa

Gesù in Luca, 4, 18-19, richiama Isaia 61.

Il gruppo ha introdotto qui la lettera di Jon Sobrino a Ellacuría che può essere riassunta in tre punti, che sono tre lunghi passi del cammino della coscienza cristiana:

1.     Fuori della chiesa non c’è salvezza. Così si diceva fino a 50 anni fa.

2.     Fuori del mondo non c’è salvezza, ha detto Edward Schillebeeckx.

3.     Fuori dei poveri non c’è salvezza, dice  Jon Sobrino.

    Già  Monsignor Romero, del resto, aveva parafrasato Ireneo dicendo: “Gloria di Dio è il povero che vive”.